Una volta i ministri venivano invitati a lasciare il campo quando ricorressero gli estremi di manifesta incapacità.
Succedeva anche che gli stessi ministri – fossero o meno personalmente e direttamente responsabili – a fronte di gravi o ripetuti fatti avversi nel settore di loro competenza, avvertissero l’opportunità di riconoscere fondato il turbamento della pubblica opinione, fino al punto di togliere il disturbo.

Salvini, al contrario, le prova tutte – la disdetta o la scalogna, il sabotaggio, perfino il PNNR – pur di sottrarsi a responsabilità istituzionali che hanno, in ogni caso, un carattere oggettivo e non possono essere spezzettate, come si volesse dissolverle, e distribuite attorno, ora al chiodo, ora al tal o tal’ altro dirigente oppure alla fatalità
del caso. Peraltro, che sia sempre colpa degli altri è il piagnucoloso ed infantile refrain, cui non cessa di abbandonarsi volentieri il governo Meloni, ad oltre due anni dal suo insediamento.

Che la iella aleggi sul capo di Salvini? Ci può stare. Non sempre la “grazia di stato” funzione come il dono di re Mida.
Qualche volta capita che si rovesci nel suo contrario. Anche l’adombrato sospetto del sabotaggio rientra in quello spirito di perenne sospetto e di costante allarme in cui vive l’attuale governo.  Ma il PNNR che c’entra? E’ possibile che perfino la cornucopia dei fondi europei in mano a Salvini diventi fonte di guai piuttosto che di soluzioni? In effetti, il tutto ha un risvolto politico che va al di là di Salvini.

Il governo Meloni, nella misura in cui si regge su un patto di potere e di reciproche convenienze tra i suoi contraenti, piuttosto che sul disegno comune di una effettiva coalizione, trema solo all’idea, non si dica di un rimpasto, ma della semplice sostituzione di un Ministro incapace.

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