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Il caso Delmastro e il “fortino”

In occasione del rinvio a giudizio del sottosegretario Delmastro riproponiamo un nostro precedente intervento che mantiene tutta la propria attualità

Quanto più in politica, e nella gestione della cosa pubblica, nascono problemi si dovrebbe cartesianamente sforzarsi di mantenere la lucidità e, con essa, la capacità di tenere questioni e idee chiare e distinte. Troppo spesso, invece, c’è chi finisce per chiudersi nel proprio “fortino” e chi gioca a fare “l’assediante”. Alla fine, può sembrare più conveniente buttarla nella contrapposta polemica, pura e semplice. Ma è questo utile a qualcuno?

Una domanda molto attuale, nel periodo specifico che sta vivendo il Paese. Il Pnrr, l’inflazione, la guerra in Ucraina che ancora potrebbe portare a conseguenze imprevedibili, e tanto altro ancora, dovrebbero spingere a diminuire il tasso di litigiosità e a meglio precisare i compiti dei diversi ordinamenti dello Stato. Sarebbe necessario, soprattutto, veder creare i presupposti perché una qualche forma di unità nazionale non la si trovi solamente nell’accomunarsi nella retorica e nello spirito di contrapposizione.

E’ evidente che la prima responsabilità in questa direzione è demandata alla maggioranza e al Governo. Che pure, più volte, hanno insistito sul tema dell’unità nazionale nella difesa comune dei coincidenti interessi nazionali. Ma la settimana che si è chiusa ci ha portato esattamente il contrario. E questo perché sembra mancare la predisposizione ad esaminare ciascuna le singole questioni e a queste rispondere nel merito.

I giorni scorsi sono stati animati da tre vicende giudiziarie e dall’idea di dare vita ad una commissione parlamentare d’inchiesta sulla gestione dell’epidemia da Covid. Unico paese al mondo a prendere una decisione del genere. E per di più dopo che in tutto il mondo siamo stati apprezzati per la risposta portata in condizioni di estrema difficoltà iniziale e con il grande successo riportato nella campagna vaccinale. Inoltre, la costituzione di una tale commissione, utile solo ad alimentare ulteriori polemiche tra i partiti, è giunta all’indomani della conclusione con archiviazione di un’indagine condotta dalla magistratura.

Il caso Santanché, quello Delmastro e quello ancora del figlio del Presidente del Senato, Ignazio La Russa, nascono in contesti del tutto diversi, partono da fattispecie di reato che non hanno nulla in comune e sono originate da vicende non assimilabili tra di loro. Il risultato è stato comunque quello di veder ritornare la contrapposizione tra politica e l’Ordine giudiziario. Serve al Governo? Serve alla Magistratura? E serve che alcuni esponenti della maggioranza “minacciano” di usare una non meglio precisata riforma della Giustizia come una clava? Pensano di essere in Ungheria o in Polonia? O dalle parti di Erdogan o di al Sisi?

Torniamo alle inutili dichiarazioni sul “garantismo”. Il vero garantismo è quello che vuole l’accertamento dei fatti sapendo che né politici né magistrati sono al di sopra della legge. Invece che difendere o accusare per partito preso potrebbe essere utile far lavorare in fretta quel “galantuomo” che è il tempo. Se la Santaché ha sbagliato, e così vale per Delmastro, pagheranno politicamente e con altro. Quella del figlio di La Russa, poi, è questione del tutto analoga a tante altre di cui leggiamo sui giornali in cui ci fa imbattere una gioventù lasciata allo sbando. L’ultimo nome celebre coinvolto in un caso del genere è stato quello di Grillo figlio. La polemica, e il clamore mediatico, rischiano di farci perdere una Giustizia serena e davvero libera, in un senso o in un altro, anche per vicende che non hanno nulla di politico.

Il rinchiudersi nel “fortino” per lucrare sull’idea del complotto o il limitarsi ad allestire un “assedio” servono solo a confermare tutti i limiti di un sistema politico, della mancanza del rispetto dei ruoli tra i diversi ordini dello Stato o a fare vendere giornali che, ahinoi, in questi casi confermano spesso di pensare ad altro, correndo solo a schierarsi per partito preso.

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