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Il Centro che non c’è – di Domenico Galbiati

Non hanno avuto e non hanno torto coloro che, su queste pagine, da anni, vanno sostenendo che il problema del “centro” e dei “moderati”, così come viene tuttora concepito, è talmente mal posto da riuscire irrisolvibile, alla stregua di un groviglio inestricabile, che, non a caso, ogni giorno si fa e si disfa, aggiungendo nodo a nodo.
Anche qui, per non smarrire il filo d’ Arianna, è necessario rifarsi ai fondamentali della politica, cercare di cogliere dove sta il nocciolo della questione. Senza dimenticare che la politica, anche quando appare aleatoria e confusa, nasconde pur sempre un ordine interno che va compreso e da cui e’ necessario prendere le mosse.
Altrimenti, bene che vada, si parla sempre d’ altro.

Il punto nodale non è il “centro”, men che meno la sua collocazione nel sistema politico-istituzionale così com’è, ma piuttosto il sistema stesso, complessivamente inteso ed il “baricentro” di cui ha bisogno, cioè quell’ ancoraggio alla realtà del Paese che gli manca. Non ha senso pensare al “centro” come forza di interposizione tra due schieramenti che “strutturalmente”, per loro stessa natura, per la modalità che presiede alla loro formazione, sono necessariamente, per forza di cose, in perenne, pregiudiziale contrapposizione. Se pur nascesse questo supposto “centro”, la dinamica del sistema, destinata comunque a privilegiare le estreme, non cambierebbe.

Anziché uno schieramento contro l’altro, senza reciproca legittimazione, avremmo da una parte due attori e dall’ altra uno solo – salvo, all’ occasione, rovesciare lo schema – incaprettati nella stessa obbligata polarizzazione.
In sostanza, un siffatto “centro”, sia pure portatore di un’ intenzione “moderatrice”, altro non farebbe che essere attratto dall’ una o dall’ altra parte. Lo si vede addirittura fin d’ora, a cantiere ancora aperto. Il punto è un altro.

Non serve un centro che stia “dentro” l’attuale sistema di relazioni politiche ed istituzionali ed, in tal modo, concorra a legittimarlo, per quanto allontani sempre più gli italiani dalle urne. Occorre, al contrario, una formazione politica che, senza inseguire etichette d’ altri tempi e senza pietire strapuntini da chi – qui sì di comune intesa – detiene le chiavi di un sistema elettorale di reciproca garanzia, sollevi, interagendo con la pubblica opinione ed i corpi intermedi della società civile, la necessità che l’ Italia sia sottratta al potere di ricatto dei due “aggregati elettorali” di destra e di sinistra e venga restituita agli italiani ed alla libera dialettica tra le forze politiche e culturali che appartengono al pluralismo di una società viva.

Un pluralismo che è una incomparabile ricchezza, eppure si vorrebbe coartare, in nome di un astratto principio di governabilità. Senonché la governabilità è funzione di una piena, libera, organica rappresentanza e non viceversa, come da troppo tempo si sta immaginando. Si tratta, insomma, di costruire le condizioni iniziali e poi le coordinate necessarie per dar corso a quel processo di “trasformazione” che rappresenta la chiave di volta suggerita dal Manifesto di INSIEME (CLICCA QUI).

Per una rinascita democratica, contro quella “polarizzazione” che avvelena i pozzi del libero confronto politico, estremizza le culture che lo supportano, spinge verso la “ideologizzazione” del pensiero, ingessa il discorso pubblico privandolo di ogni spazio di elasticità dialettica, finisce per minare la stessa libertà.

Domenico Galbiati

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