Questo sito ha già pubblicato primi articolati rilievi già sugli effetti abnormi e contraddittori derivanti dall’approvazione del quesito referendario, attraverso gli interventi del presidente di sezione emerito della Cassazione Pietro Dubolino ( CLICCA QUI ) e di Aldo Rocco Vitale ( CLICCA QUI ) . Anche ai fini del giudizio di ammissibilità che la Corte costituzionale dovrà rendere sul quesito, il contributo di Carmelo Leotta, professore di diritto penale all’Università Europea di Roma, rileva oggi, insieme col paradosso di una possibile più elevata sanzione quale esito della parziale abrogazione dell’art. 579 cod. pen., il palese contrasto col contenuto della sentenza n. 242/2019 della stessa Consulta.
1. Il quesito referendario proposto sull’art. 579 cod. pen. (omicidio del consenziente) porterebbe, qualora il referendum fosse dichiarato ammissibile dalla Corte Costituzionale e qualora, all’esito dei voti, vincessero i “Sì”, all’abrogazione parziale della norma che punisce chi uccide la persona consenziente.
Il quesito interviene infatti sui tre commi che compongono l’attuale art. 579 cod. pen. cancellando al comma 1 le parole “la reclusione da sei a quindici anni.”; l’intero comma 2; e al comma 3 le parole “Si applicano”. All’esito del referendum, l’art. 579 cod. pen. risulterebbe così formulato:
«Chiunque cagiona la morte di un uomo, col consenso di lui, è punito con la reclusione da sei a quindici anni.
Non si applicano le aggravanti indicate nell’articolo 61.
Si applicano le disposizioni relative all’omicidio se il fatto è commesso:
1. contro una persona minore degli anni diciotto;
2. contro una persona inferma di mente, o che si trova in condizioni di deficienza psichica, per un’altra infermità o per l’abuso di sostanze alcooliche o stupefacenti;
3. contro una persona il cui consenso sia stato dal colpevole estorto con violenza, minaccia o suggestione, ovvero carpito con inganno».
2. Così parzialmente abrogato, l’art. 579 cod. pen. si limiterebbe a prevedere che l’omicidio del consenziente minore di anni 18, o infermo di mente, o in condizioni di deficienza psichica, o vittima di un consenso viziato, sia punito (come avviene tuttora) con le pene previste per l’omicidio volontario. Si tratta di tre ipotesi che si caratterizzano, già nell’attuale regime, per una situazione di particolare debolezza della vittima, la cui manifestazione di volontà risulta priva di effetti ai fini dell’attenuazione di un giudizio di responsabilità.
L’intenzione dei proponenti il referendum è senza dubbio quella di escludere la punibilità per la fattispecie di omicidio del consenziente oggi punita con la reclusione da 6 a 15 anni dall’art. 579 comma 1 cod. pen. Per incidens, è lecito dubitare che questo sia l’unico possibile esito interpretativo del testo dell’art. 579 cod. pen. che residuerebbe dall’effetto abrogativo parziale. Infatti il referendum, in caso di vittoria dei “Sì”, comporterebbe l’abrogazione di una fattispecie di omicidio volontario pacificamente ritenuta speciale rispetto alla fattispecie generale di cui all’art. 575 cod. pen. Posto che, per costante orientamento (v., ad es., Cass. S.U. pen. n. 24468/2009), qualora si abroghi una fattispecie speciale, in applicazione dell’art. 2 cod. pen., non si realizza un’abolitio criminis, ma una successione di leggi penali nel tempo (con riespansione della fattispecie generale) è lecito domandarsi se i proponenti il referendum che, evidentemente perseguono il fine di escludere la punibilità per il particolare tipo di omicidio oggi punito dall’art. 579 co. 1 cod. pen. abbiano scelto, dal punto di vista tecnico, lo strumento più adeguato a raggiungere lo scopo da loro prefisso.
Tale dubbio è non privo di conseguenze ai fini del giudizio di ammissibilità del quesito, che appare non rispettoso del criterio di chiarezza richiesto dalla giurisprudenza costituzionale (C. Cost., 16/1978).
3. Lasciando sullo sfondo tale questione, si intende qui valutare se l’effetto di abolitio criminis della fattispecie di omicidio del consenziente fuori dai casi in cui la vittima versi in una delle situazioni di cui all’art. 579 co. 3 cod. pen. sia comunque soluzione consentita sul piano costituzionale.
Per svolgere tale giudizio si possono prendere le mosse proprio dalla decisione della Corte Costituzionale (sentenza n. 242/2019) che ha dichiarato, nel procedimento incidentale di costituzionalità nel processo Cappato, la parziale illegittimità per violazione degli art. 2, 13, 32 co. 2 Cost. dell’art. 580 cod. pen., nella parte in cui non esclude la punibilità di chi agevola l’esecuzione del suicidio, “autonomamente e liberamente formatosi, di una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che ella reputa intollerabili, ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli, sempre che tali condizioni e le modalità di esecuzione siano state verificate da una struttura pubblica del servizio sanitario nazionale, previo parere del comitato etico territorialmente competente”.
Il richiamo alla sentenza n. 242 non deve indurre a ritenere che l’iniziativa referendaria riguardi i medesimi fatti investiti dalla sentenza del 2019, riferita come noto alla fattispecie di aiuto al suicidio (e, quindi, neppure all’istigazione, anch’essa punita dall’art. 580 cod. pen.). Tuttavia, la motivazione della sentenza n. 242/2019, ancorché la decisione sia nella sostanza criticabile perché introduttiva di un criterio di disponibilità della vita (seppur circoscritto alla sussistenza delle quattro condizioni indicate nel dispositivo), ha enunciato (come già l’ordinanza n. 207/2018) due principi fondamentali in materia di tutela della vita a fronte di una volontà dispositiva del suo titolare che, se valgono per l’aiuto e l’istigazione al suicidio, a maggior ragione devono valere per l’omicidio del consenziente.
4. Anzitutto, per la Corte costituzionale, l’art. 2 Cost., così come l’art. 2 CEDU, fonda il “dovere dello Stato di tutelare la vita di ogni individuo: non quello – diametralmente opposto – di riconoscere all’individuo la possibilità di ottenere dallo Stato o da terzi un aiuto a morire”. Nella giurisprudenza della Corte EDU, si afferma, in termini aderenti, che dal diritto alla vita, garantito dall’art. 2 CEDU, non deriva il diritto di rinunciare a vivere, cioè il diritto a morire (sentenza 29 aprile 2002, Pretty contro Regno Unito) (v. anche Corte Cost., ord. n. 207/2018).
In secondo luogo, la pretesa inoffensività dell’aiuto al suicidio neppure può discendere dall’autodeterminazione individuale riferita al bene della vita. La ratio dell’art. 580 cod. pen. è infatti quella di tutelare il diritto alla vita, soprattutto delle persone più deboli e vulnerabili, “che l’ordinamento penale intende proteggere da una scelta estrema e irreparabile, come quella del suicidio. Essa assolve allo scopo, di perdurante attualità, di tutelare le persone che attraversano difficoltà e sofferenze, anche per scongiurare il pericolo che coloro che decidono di porre in atto il gesto estremo e irreversibile del suicidio subiscano interferenze di ogni genere” (v. anche Corte Cost., ord. n. 207/2018).
Una volta ricostruita la ratio di tutela su cui si fonda l’incriminazione delle due fattispecie di cui all’art. 580 cod. pen. (istigazione e aiuto al suicidio), occorre considerare che la condotta di omicidio del consenziente rappresenta un’ipotesi criminosa limitrofa, ma di maggiore offesa; in questa ultima fattispecie, infatti, il soggetto attivo del reato non partecipa semplicemente (a titolo morale o materiale) al fatto del suicidio commesso dalla vittima, ma sopprime la persona con il consenso della stessa. Della maggior gravità dell’omicidio del consenziente rispetto all’istigazione e all’aiuto al suicidio si rintraccia un chiaro indice dal confronto dei due articoli; infatti, l’art. 579 cod. pen. prevede una pena più severa (reclusione da 6 a 15 anni) di quella dell’art. 580 cod. pen. (reclusione da 5 a 12 anni).
5. Alla luce del richiamo alla sentenza costituzionale in materia di art. 580 cod. pen. e tenuto conto del rapporto tra le fattispecie di cui rispettivamente all’art. 580 e all’art. 579 cod. pen., l’abrogazione parziale di quest’ultimo articolo che, almeno secondo le intenzioni dei proponenti, è volta a rendere non punibile l’omicidio del consenziente fuori dai casi di incapacità o minore età della vittima o di consenso viziato, si rivela assolutamente incompatibile con “il dovere dello Stato di tutelare la vita di ogni individuo” per adempiere il quale se è irrinunciabile la tutela accordata dall’art. 580 cod. pen. (fuori dai casi indicati nel dispositivo) a fortiori lo è quella accordata contro i più gravi fatti previsti dall’art. 579 cod. pen.
Per tale ragione, la proposta referendaria – a tacere dei profili sulla carenza di chiarezza del quesito cui si è fatto cenno poco sopra – è senz’altro inammissibile, posto che vanificherebbe la tutela della vita dell’aspirante suicida, a difesa del quale, per la giurisprudenza costituzionale, permane la necessità di un presidio penalistico.
Carmelo Leotta