Molti tra coloro che hanno commentato il recentissimo voto regionale in Liguria, hanno affermato che il candidato delle destre, Bucci, avrebbe prevalso su Orlando , anche perché è stato – o almeno così è apparso, in quanto manager di lungo corso – un candidato “civico” contrapposto ad un avversario “politico”, che, oltre a vantare una lunga militanza di partito nel PD, ha ricoperto importanti incarichi istituzionali, a livello ministeriale. In altri termini, si potrebbe dire che la “politica” e’ un lavoro usurante e chi la esercita diventa presto merce “deperibile”.
Prendiamola per buona, anche se, in effetti, la candidatura di Bucci pare risalga addirittura a Giorgia Meloni e, quindi, sia di forte caratura “politica”, piuttosto che espressione di un libero, autonomo, spontaneo “sentimento” locale. Prendiamola per buona soprattutto per farci su un ragionamento e non cadere nella tentazione di creare una contrapposizione fasulla, orientata a strumentalizzare il vero “civismo”, adottandolo come grimaldello funzionale a “sgranare” il discorso pubblico, ottunderne il merito espressamente “politico”, a favore dell’ invasione di campo da parte di poteri “altri” che vedono la politica, come una pietra d’ inciampo da rimuovere.
Le “liste civiche” si vanno fortunatamente diffondendo, al punto che ne nascono significative aggregazioni rappresentative di vaste aree del nostro Paese. Sono una risorsa di grande rilievo – soprattutto in una fase storica che vede le democrazie in debito di ossigeno – in quanto possono svolgere un ruolo fondamentale sul piano della partecipazione, della democrazia deliberativa, dell’ arruolamento di importanti settori della società civile in vista di obiettivi di “interesse generale”, in ordine ad una rivitalizzazione delle autonomie locali e della rinascita di una “territorialità” genuina delle politiche di settore. Insomma, possono concorrere efficacemente a portare la politica fuori dal Palazzo per poi rientrarvi dopo aver sciacquato i panni in un confronto diretto con i bisogni, colti nella loro immediatezza originaria e sostenuti nel processo di costituirsi come cosciente “domanda sociale”.
Detto altrimenti possono concorrere a sostenere ed arricchire quella dimensione della “rappresentanza” di cui anche il Parlamento ha bisogno per affermare la sua centralità. Ovviamente, le “civiche” autentiche non vanno confuse né con le “liste indipendenti”, comunque assertive di un preordinato schieramento e, tanto meno, con le liste di mero “supporto tattico” ad un candidato piuttosto che ad un altro.
Per parte nostra, ci auguriamo una fioritura ancora maggiore di liste civiche, purché non siano utilizzate come pretesto per asportare dal corpo vivo del Paese e dalla valenza “politica” del discorso pubblico, lembi di territorio che si vorrebbero consegnare ad una opinione indistinta. Gli “interessi locali” non possono essere assunti come un cappio oppure un alibi che chiami fuori dai temi più vitali della vita democratica del Paese. Del resto, “civico” è colui che – qualunque sia il suo orientamento – alla citta’ appartiene e da essa trae ispirazione ed alimento.
“Politico” è chi concorre a disegnarne la fisionomia. Si tratta, dunque, di due versanti congruenti, per nulla alternativi o tali da escludersi a vicenda.
Domenico Galbiati