Qualche giorno fa un bell’intervento su questo sito invitava a non fermarsi all’attesa spasmodica del vaccino, ma a guardare anche ai “nostri anticorpi”, a come noi ci organizziamo per la vita. Anche in economia ci si occupa del “sentiment” degli operatori (imprenditori, investitori, risparmiatori, agenti finanziari) e invece in una vicenda come le due crisi non ci si sofferma sui sentimenti, sui vissuti di tutti.
Due crisi perché c’è la crisi sanitaria, ma poi le misure che adottiamo per contenere la crisi sanitaria determinano a loro volta una crisi economica e sociale, che prolungherà i suoi effetti ben oltre la fine di Covid- 19 e danneggerà molte più persone di quelle colpite dal virus.
Dunque occorre ragionare di più sulle due crisi, su quella sanitaria e su quella indotta dalle misure restrittive (che chiamerei protettive avendo riguardo alle finalità e non solo alla modalità). Ma poiché qui siamo sul sito di un soggetto politico – un partito – la riflessione deve evolversi in politica. Che cosa farebbe Insieme se avesse responsabilità di governo in questo terribile frangente? O qual è – più semplicemente – la proposta a chi governa in questo momento?
Ricerche della Cattolica di Milano (coordinate da Guendalina Graffigna) rivelano che quasi metà degli italiani non intende vaccinarsi. Stupisce forse, ma non preoccupa. Mancano molti mesi al momento in cui queste persone dovranno decidere effettivamente e concretamente se vaccinarsi. Crescerà la consapevolezza. Ci saranno campagne di informazione. Il tempo è un operatore potente. Incoraggia il fatto che oggi il problema della vaccinazione antinfluenzale non è che la gente non voglia farla, ma che spesso deve aspettare per farla.
Parto, come l’intervento citato all’inizio, da alcune parole, che qui sono la paura, il distanziamento, la consapevolezza, l’altruismo/egoismo (o la responsabilità solidale), la frustrazione. Gli italiani non si fidano della efficacia dei vaccini in corsa? Oppure non hanno abbastanza paura di Covid – 19 da dover ricorrere al vaccino? La paura è troppa o è poca?
La paura svolge una funzione utile in una società. Segnala che c’è un pericolo dal quale bisogna proteggere se gli altri, bisogna mettere al riparo la famiglia, forse anche i beni, bisogna da soli o insieme ad altri cercare di evitare il pericolo o organizzarsi per fronteggiarlo. L’incapacità di provare paura può essere peggiore, anche se non dobbiamo lasciarcene dominare.
Certo le persone già consapevoli soffrono che la loro attenzione venga spesso richiamata dai media sui rischi del contagio, della malattia, dei suoi possibili esiti nefasti. Per strada sento dire: “la malattia c’è e bisogna essere prudenti, ma tutto questo terrorismo psicologico…”.
Ma se la messa in guardia è andata oltre misura, come mai tanti non sanno portare la mascherina o si assembrano o cercano di eludere le precauzioni? “Fatta la legge trovato l’inganno” è un meccanismo così compulsivo da agire in modo autolesivo? Forse di paura (di coscienza del pericolo) ce ne vorrebbe di più oppure verrebbe comunque rimossa? Gli spavaldi non hanno paura o, sopraffatti, la gestiscono nel peggior modo?
Le prove da sforzo mettono in evidenza i punti deboli. Di quelli della nostra società non dovremo dimenticarcene: dovremo averne cura. Maggiore consapevolezza, minore paura. Questa è l’equazione che dovrebbe guidare la politica e la comunicazione. Il distanziamento fisico nelle relazioni sociali, come mezzo di prevenzione del contagio, non ha proprio nulla di nuovo. Nelle società in cui la lebbra era endemica (anche all’epoca di Gesù oltre che nel Levitico) il lebbroso veniva distanziato, anzi proprio escluso dalla città e da ogni frequentazione di familiari e parenti. Anche i giovani fiorentini che Boccaccio mette in scena nel Decamerone soggiornavano in campagna per distanziarsi dalla città, nella quale divampava il contagio della peste. Ma rispetto al passato oggi il dono delle tecnologie (dono, veramente) continua a tenerci in relazione, consente di proseguire moltissime attività solo cambiandone il modo.
Una stretta di mano energica e schietta, un baciamano quando ci vuole, un sorriso ricevuto o rivolto, ci mancano, certo. Ma altre civiltà si sono evolute con forme di saluti diverse. Comunque torneranno i nostri modi, e li riavremo, con un linguaggio più ricco. Riguardo alla consapevolezza anziché subire misure restrittive, o mal tollerarle, dovremmo sentirci corresponsabili di misure protettive affidate a tutti, messe in opera da tutti. Purtroppo è evidente ancora che molti non sanno come funziona il sistema delle mascherine.
La responsabilità solidale è questo: capire che ci proteggiamo a vicenda e che se uno si comporta sciattamente mette in pericolo gli altri, e questo non dovrebbe essere tollerato. Sicché è grave il lassismo dei controlli, che dovrebbe essere più duramente denunciato in sede politica così come dovrebbe essere più puntuale l’informazione sugli organismi ai quali spettano i controlli.
Di questa indifferenza alla vita degli altri (non meno grave quando inconsapevole) tra gli altri aspetti va affrontato il deficit di senso civico, che affligge l’Italia in molti campi. Chi quando può evade, chi quando può prescinde dal codice della strada, perché dovrebbe essere ligio su mascherine e distanziamento, quando il suo rapporto con le regole non è adulto? Non so se basti una campagna del tipo Pubblicità Progresso, o se si debbano sanzionare diffusamente ed effettivamente alcune trasgressioni, o se soprattutto ci si debba affidare a un’educazione civica di alta qualità e serietà nelle scuole. È vero che da quest’anno l’insegnamento è obbligatorio, ma in un anno scolastico strano. Se la nuova educazione civica ruota intorno alla Costituzione, allo sviluppo sostenibile, alla cittadinanza digitale, alcuni fondamentali del senso civico resteranno nell’ombra.
Anche questo spetta alla politica: un investimento sul senso civico, i cui limiti sono smascherati dalla crisi.
Della frustrazione si parla poco. Nelle società di oggi coesistono primitivi (i no-vax, i complottisti, e in genere quelli che temono il pericolo che non c’è e non temono quello che c’è) e scientisti (quelli che della scienza hanno fatto una religione e che in ogni cosa confidano nel progresso invincibile delle tecnologie). Queste due posizioni (entrambi neopagane?) sono esposte a frustrazione quando una Pandemia aggredisce le persone e invade la società.
Il sistema sanitario, che la crisi ha scosso nell’ordinamento e nel funzionamento, va rimodellato, riorientato a una società assai mutata nella composizione, rafforzato e diversificato nelle professionalità, alimentato da investimenti adeguati. Alcuni ritengono (Ricciardi nei giorni scorsi) che le incursioni di Virus aggressivi nella nostra vita potrebbero farsi più frequenti nei prossimi anni, specie se non corressimo a riparare rapidamente alcuni problemi di deterioramento dell’ambiente e della natura. Sono preoccupazioni fondate, ma sappiamo già che i virus li abbiamo sempre avuti tra noi. Quando arriveranno le prossime epidemie o pandemie non lo sappiamo, ma l’incertezza sul quando (non sul se) non autorizza a farsi trovare ancora impreparati. Ma le riflessioni sui sistemi sanitari richiedono uno spazio dedicato.
Come la crisi finanziaria globale del 2008 anche la Pandemia 2020 con la sua crisi finanziaria si abbatte sull’economia reale. Lo schema di gioco classico è rovesciato. Normalmente il mercato ti mette in crisi, e tu chiedi aiuto allo Stato. Da qui gli innumerevoli tavoli di crisi al MISE e altrove. Qui invece è lo Stato che per ragioni di salute pubblica ti chiude.
Anche l’economia è una questione di salute pubblica. Se c’è un allargamento forte della povertà, una riduzione di medio periodo dei redditi di molte famiglie, il collasso del sistema turistico, il mistero dell’occupazione alla fine del divieto di licenziamento (cominciamo a scoprire come si elude), due anni scolastici precari e avventurosi, allora la crisi economica e sociale è la vera sfida. Già disponiamo di osservazioni e dati e tra un po’ arriveranno studi imponenti, ma poche ore in qualunque Centro di ascolto della Caritas bastano ad aprire gli occhi. Le più gravi questioni sociali si vedono meglio dal piano terra della società.
Oggi si vive alla giornata. Si pagano i prezzi che sembrano ineluttabili. E il domani non spetta alla politica? Chi deve occuparsene? La provvidenza? Tanti operatori chiusi d’autorità chiedono un indennizzo più consistente. Spesso comprensibilmente. L’opposizione soffia sul fuoco. Svaluta il possibile. Chi spiega a questi operatori che ogni euro in più lo restituiranno in più? Forse ad altro titolo, forse in tempi lunghi, forse altri che non hanno ricevuto niente contribuiranno alla loro restituzione.
Quando saremo tutti vaccinati e la Pandemia sarà un ricordo amaro, ci rimarrà una delle cime più alte del mondo, e mai scalata, quella del nostro debito. Dobbiamo sostenere e speriamo che si faccia strada la proposta fatta nei giorni scorsi (D. Sassoli) che l’Unione non lasci sulle spalle dei singoli Stati membri il peso del debito Covid. Se questa diventasse una decisione della Unione (con o senza condizionalità?) per l’Italia sarebbe un grande sollievo. Torneremmo a prima della Pandemia, cioè con il debito pubblico più pesante in Europa, che ci condiziona, ci appesantisce, frena ogni slancio di politiche di sviluppo e di equità.
Che cosa accadrà? Invece di una riforma fiscale a progressività smorzata ne avremo una a progressività rafforzata? O forse basterà prosciugare l’evasione? E a quali costi? O forse il coro quasi unanime di esclusione della patrimoniale, cambierà musica, perché la realtà comanda. Una situazione aspramente polemica tra Governo e opposizione non rende praticabile dotare il Paese di una strategia condivisa su scenari di largo respiro. Alla opposizione si può chiedere di lavorare comunque, nel suo ruolo per il bene comune (nessuno è esonerato da questo per ciniche convenienze). Non si può perseguire consenso senza responsabilità. Ma una corresponsabilità effettiva si può realizzare senza quelle soluzioni di Governo che tradizionalmente si adottano nelle crisi straordinarie (unità nazionale, salute pubblica…)?
Basteranno tavoli parlamentari, in una situazione di tempi convulsi per la legge di bilancio? Non nascondiamoci dietro il Covid – 19. La situazione va gestita con più cura fin quando la soluzione non arrivi dai vaccinatori.
Ma rilanciamo subito la politica: la ripresa economica, il risanamento finanziario del paese, il suo funzionamento migliore, il rilancio Internazionale non inutile a fini interni, l’apporto costruttivo dei corpi intermedi, la collaborazione tra le forze politiche.
Vincenzo Mannino