Se ne è parlato a lungo, sotto ogni aspetto. Forse era il caso di soprassedere, dato che studiosi, editorialisti e politici di ogni schieramento hanno riflettuto seriamente sul tema, affrontando questioni di politica internazionale che, con le tragiche guerre in corso, risultano difficili da interpretare e commentare.

Mi riferisco alle elezioni presidenziali negli Stati Uniti, sulle quali Walter Veltroni ha offerto un assist significativo con il suo interessante e, al tempo stesso, preoccupato articolo pubblicato sul Corriere della Sera di mercoledì 13 novembre. Veltroni ha accostato due potenti magnati americani ultraricchi, consegnando nelle loro mani il destino geopolitico del mondo intero: il nuovo presidente Trump, noto per i trascorsi come attore e proprietario della multinazionale miliardaria “Trump Organization”, e il suo fidato amico, l’uomo più ricco del mondo, Musk, nominato capo del “Dipartimento per l’Efficienza Governativa”. Un Musk 53enne, con tre matrimoni e undici figli alle spalle, apparso di recente in Italia accanto alla Meloni come influencer e consigliato vivamente dal presidente Mattarella di “farsi i fatti suoi” in questioni che riguardano altri stati, che non conosce.

Questa coppia, aggregata al governo, segnerà la storia dei prossimi anni, in un’epoca che Veltroni ha definito “epoca Trusk”. Un binomio che rappresenta la nuova doppia presidenza americana, unita sotto il segno di un capitalismo iperliberista e calvinista, non solo digitale, e che si avvale abbondantemente della politica-spettacolo.

Una sorta di governo bi-presidenziale, guidato da leader “forti” solo per via della loro ricchezza, che cela più teatro di quanto si possa immaginare e davanti al quale l’era berlusconiana impallidisce. Conosciamo bene le sceneggiate di Trump con celebrità e star al seguito: il pugno chiuso, il cappello rosso, la visita al McDonald’s vestito da cuoco mentre frigge patatine, i comizi trasformati in spettacoli, con cantanti e attori invitati sul palco. E, dimenticando il Capitol Hill, migliaia di fan con t-shirt e cartelloni, il suo nome, cappelli rossi e la bandiera americana in bella vista. E infine, come gag comica conclusiva, il discorso finale di Trump sul palco, con Musk che balla alle sue spalle.

Sin dagli esordi della campagna elettorale, questi “due futuri presidenti” hanno sfruttato a pieno la politica-spettacolo per cercare il consenso, trasformando i palchi dei comizi in scenari di comicità. Il teatro, sin dall’Atene di Pericle, è sempre stato amico del populismo e, talvolta, anche della democrazia rappresentativa. È vero! Ma la recente campagna elettorale di “entrambi i presidenti” resterà impressa come uno spettacolo teatrale continuo, senza interruzioni, culminato con il discorso finale di Trump e la danza di Musk sullo sfondo.

La letteratura su questi temi è vastissima, ma in Italia non abbiamo dato sufficiente attenzione al rapporto tra politica-spettacolo ed elezioni, tra politica sceneggiata e spettacolo. Già nel lontano 1986, Gianni Statera pubblicava “La politica spettacolo. Politici e mass media nell’era dell’immagine”. Circa sei anni dopo, uno dei più seri e preparati sociologi italiani, Franco Ferrarotti — scomparso di recente — pubblicava “Mass media e società di massa”, dove, ispirandosi alla Scuola critica di Francoforte, ci metteva in guardia non solo sulla trasformazione consumistica della cultura in merce, ma anche sui rischi di una democrazia politica veicolata dalla comunicazione. Altri quattro anni dopo, con l’avvento dei social, il sociologo francese Bernard Manin pubblicava “Principes du gouvernement représentatif”, tradotto in Italia dal Mulino. Manin chiariva come, nell’era mediatica, la democrazia portata avanti dai media decreti la fine del partito politico e lasci spazio al solo leader, in relazione diretta col pubblico grazie ai mezzi della comunicazione sociale. Manin ci avvertiva che la “democrazia dei partiti” è ormai sostituita dalla “democrazia del pubblico”…a distanza.

Le elezioni presidenziali americane, inaugurando l’“epoca Trusk” come la chiama Veltroni, hanno dimostrato tutto ciò con evidenza. Il declino della democrazia sostanziale è iniziato da tempo, facendo sparire il Noi e sostituendolo con l’Io, rimpiazzando la persona in relazione con l’individuo isolato. Essere consapevoli di questo cambiamento è il primo passo.

Nino Labate

 

Pubblicato su www.ildomaniditalia.eu

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