Domenica scorsa, 3 dicembre, è stata celebrata la Giornata Mondiale della Disabilità. Ha rappresentato, come ogni anno, l’ invito a riflettere sulle “fragilità” e su quei “limiti” dell’ umano che, tra l’ altro, la pandemia, con la nuda franchezza di una minaccia di morte, ha mostrato a tutti e singolarmente a ciascuno con una forza ed un coinvolgimento personale e collettivo senza precedenti.
Le disabilità, secondo l’ opinione corrente, rappresentano un “minus”, una diminuzione di umanità, un vulnus più o meno severo delle attribuzioni e delle capacità di autonomia del soggetto, tale per cui, soprattutto quando il deficit sia di ordine cognitivo o comportamentale, sembra che ad essere compromessa sia la “persona”, in quanto tale.
Ne consegue che la reazione istintiva del “normodotato” sia un insieme di solidarietà e di compassione, di commiserazione accompagnata ad un “ritrarsi” come se – succede soprattutto di fronte ai malati mentali – quella condizione di umanità ferita fosse contagiosa.
In effetti, la questione è di ordine funzionale, non ontologico. La “persona”, come tale, è intangibile. Anzi, la deprivazione funzionale del disabile quanto più è severa, tanto più ne mette a nudo e ne mostra l’ “essenza” in quanto a dignità e valore umano. Cosicché si può dire che il disabile è, infine, il testimone privilegiato della nostra umanità, del valore assoluto ed incondizionato che alla persona originariamente, strutturalmente appartiene, a prescindere dal fatto che noi glielo riconosciamo o meno.
Di tutto ciò bisogna essere avvertiti soprattutto nel tempo dell’ efficienza e della produttività, del successo e dell’avvenenza, del primato a tutti i costi. Ce lo ricorda la lettera che Emmanuel Mounier, padre di una bambina gravemente disabile, scrive, negli anni ‘40, alla moglie: “che senso avrebbe tutto questo se la nostra bambina fosse soltanto una carne malata, un po’ di vita dolorante e non invece una bianca piccola ostia che ci supera tutti, un’Immensità di mistero e amore che ci abbaglierebbe se lo vedessimo faccia a faccia”.