I cultori del “nuovismo” – postura mentale da cui sembra essere nata una sorta di nuova ideologia – penserebbero che si cade in un anacronismo, eppure, perché l’Europa riprenda il suo cammino verso l’unità politica, è necessario che rammenti le sue origini, ricordi, dunque, e ricorra al pensiero politico dei suoi padri fondatori di matrice cristiano-democratica.

“L’ Europa non potrà farsi in una sola volta, né potrà farsi tutta insieme; essa nascerà da realizzazioni concrete che creino anzitutto una solidarietà di fatto”: così scrive Schuman nella Dichiarazione del 9 maggio 1950, l’atto iniziale di un percorso che, pur conoscendo accanto a momenti esaltanti anche stasi prolungate, pur arrancando faticosamente, non si è mai arrestato. Né lo arresteranno i nazional-sovranismi che pur lo minacciano. Si tratta, infatti, di un processo che incarna, si potrebbe dire, una necessità storica destinata comunque ad imporsi. Non a caso, il 9 maggio, ricorrenza del discorso che Schuman pronunciò a Parigi, presso il Ministero degli Esteri, è diventata l’annuale Giornata dell’ Europa.

A soli cinque anni dalla resa della Germania – firmata nelle prime ore del 7 maggio ‘45 – un’Europa, ancora ferita dalla immane devastazione materiale e morale della guerra, prova a rialzare la testa e cerca di guardare con fiducia ad un possibile domani. Affrontando, anzitutto – come afferma chiaramente Robert Schuman – il millenario nodo di quel perenne conflitto tra Francia e Germania che ha attraversato e condizionato l’ intera storia del vecchio continente.

L’Europa che, nel giro di trent’anni è passata attraverso due conflitti mondiali – di fatto “guerre civili” combattute sul suo suolo – per quanto stremata, osa concepire un disegno audace, espressamente guidato dall’ idea della “pace”.
Un disegno audace sì, ma, in nessun modo, utopico, anzi concretamente incardinata in un progetto puntuale, preciso, strategicamente definito che concerne il carbone e l’ acciaio, cioè le materie prime di ogni possibile confronto bellico.

Altre culture, liberali e socialiste, concorrono ad alimentare il sogno dell’unità politica dell’Europa, ma troppo spesso si dimentica che l’arco di volta che ha retto il peso di questo illuminato avvio è rappresentato, in Italia, Francia e Germania, da uomini di governo che hanno trovato, nel comune riferimento ad una visione cristiana della storia, la motivazione, il coraggio, la sintonia necessaria a superare fratture storicamente consolidate ed apparentemente inamovibili, pur di avviare un processo di cui comprendevano altrettanto bene quanto fosse necessario e, ad un tempo, difficile, non immediatamente dato in un impeto ideale, ma da costruire “politicamente” con la fatica e l’indispensabile tenacia di chi sa di percorrere la strada giusta.

I “popolari” europei – e anche quelli di casa nostra – dovrebbero sentire viva la responsabilità di tornare alla loro fonte, a quell’ ispirazione originaria non solo alternativa, ma addirittura antitetica alle cultura delle destre populiste che intride il tessuto sociale e civile di troppe collettività nazionali e di cui, per quanto incoraggiante, il voto spagnolo non fa giustizia.

Domenico Galbiati

About Author