Per originalità, chiarezza, accuratezza di informazioni e qualità di analisi, il libro di Massimo Borghesi “Il dissidio cattolico. La reazione a Papa Francesco” (Ed. Jaca Book) è uno dei migliori libri pubblicati a livello internazionale in merito al rapporto tra l’attuale Pontificato, la Chiesa cattolica e la modernità.
In maniera profonda e brillante, Borghesi analizza gli argomenti di chi si oppone al Pontificato di Papa Francesco e indica le risposte che l’attuale Pontefice propone per affrontare una crisi epocale che sta sconvolgendo il mondo intero.
Massimo Borghesi, già docente in varie università, è Ordinario di Filosofia Morale all’Università di Perugia. Intellettuale cattolico di grande spessore, è autore di numerosi saggi pubblicati in più lingue.
Su Papa Francesco ha già pubblicato: “Jorge Maria Bergoglio. Una biografia intellettuale”, e “Francesco. La Chiesa tra ideologia teocon e ospedale da campo”, entrambi editi da Jaca Book.
Per cercare di capire meglio quali sono le ragioni del dissidio e quali gli argomenti alla base del Pontificato di Papa Francesco, abbiamo rivolto alcune domande al prof. Borghesi.
Nel libro “Il dissidio cattolico. La reazione a Papa Francesco” lei sostiene che i malumori e le resistenze al Pontificato di Papa Francesco provengono da gruppi che non hanno mai accolto il Concilio Vaticano II, o che lo hanno recepito in versione distorta. Può spiegarci quali sono gli argomenti che sono alla base del “dissidio cattolico” contro il Papa e contro il Concilio?
Una delle tesi del volume è che il mondo, dopo l’abbattimento delle Torri gemelle a New York, l’11 settembre 2001, è divenuto manicheo.
L’11 settembre segna la fine dell’era della globalizzazione e provoca, con la sua tragedia, una reazione che riporta l’umanità allo scontro tra le forze del bene e quelle del male, tra l’Occidente e l’Islam. E oggi, tra l’Ovest e l’Est russo-cinese.
Questo manicheismo contagia anche ampi settori della Chiesa, in Europa e negli Stati Uniti. Produce una metamorfosi della fede cristiana. Lucio Brunelli parlò, nel 2001, di un cristianesimo divenuto “cristianista”.
Nel nuovo clima di guerra, il cristiano, da missionario e aperto al dialogo, diventa identitario e conflittuale, da sociale diventa individualista e burocratico, da pacifico si fa bellicoso, da cattolico e universalista diviene occidentalista.
È a motivo di questa riduzione del cristianesimo, una riduzione teologico-politica in direzione conservatrice, che il Pontificato di Francesco è apparso incomprensibile a molti cattolici.
Per il “cristianista”, Bergoglio rappresenta il compendio del mondo “liquido”, quello dialogante, pacifico, misericordioso, generoso verso i poveri e gli immigrati, aperto al rapporto con l’Islam. E poiché le parole e i valori testimoniati dal Papa sono quelli sostenuti dal Concilio Vaticano II, ecco che Francesco è divenuto altresì l’obiettivo ideale per le correnti tradizionaliste e anticonciliari tornate in auge proprio grazie all’ondata populistica.
La destra politica si allea con quella religiosa a partire da una visione manichea della storia. Il risultato è il variegato fronte antipapale che ha dominato in questi anni la scena mediatica mondiale.
La battaglia, in una sorta di Armagheddon finale tra giusti e corrotti, ha assunto la forma della lotta per il primato della Verità contro quello della Misericordia. Il “cristianista” è l’uomo dell’ortodossia le cui energie sono poste al servizio della Verità. I due poli della “Evangelii Nuntiandi” di Paolo VI, evangelizzazione e promozione umana, scompaiono dal vocabolario e rimane solo la verità dottrinale brandita come un vessillo, lo stendardo di un’identità forte in lotta contro un mondo alieno, abitato solo da nemici.
Di questa battaglia il Papa non può essere il condottiero. Al contrario, il primato da lui accordato alla carità documenterebbe la sua vicinanza alla corrente “relativistica”, allo spirito della secolarizzazione, al progressismo che priva l’Europa e l’America di quei valori che permettono di affrontare il nemico.
I gruppi che criticano il Papa sostengono che Bergoglio non fa abbastanza contro le interruzioni volontarie di gravidanza, contro l’eutanasia e contro i matrimoni tra coppie dello stesso sesso. Qual è il suo parere in proposito?
Si tratta, chiaramente, di accuse in malafede. Papa Francesco ha criticato in tante occasioni aborto, eutanasia, ecc. E lo ha fatto con toni ancora più duri di quelli usati da Giovanni Paolo II e da Benedetto XVI. Non usa l’espressione “valori non negoziabili” ma ne usa un’altra equivalente: “valori permanenti”. Il 10 gennaio 2022, rivolgendosi ai membri del Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede, Francesco ha detto: «Non bisogna mai dimenticare che ci sono alcuni valori permanenti. Non sempre è facile riconoscerli, ma accettarli conferisce solidità e stabilità a un’etica sociale. Anche quando li abbiamo riconosciuti e assunti grazie al dialogo e al consenso, vediamo che tali valori di base vanno al di là di ogni consenso. Desidero richiamare specialmente il diritto alla vita, dal concepimento sino alla fine naturale, e il diritto alla libertà religiosa».
Le sue parole sono chiare. Se, nondimeno, vengono silenziate, ciò dipende dalla malafede di coloro che, per poter rifiutare il Papa, devono presentarlo come un pericoloso relativista che sta svendendo il patrimonio morale della Chiesa.
Nella Costituzione Apostolica “Praedicate Evangelium” sulla Curia Romana e il suo servizio alla Chiesa e al mondo, Papa Francesco ha stabilito che anche i laici, uomini e donne, potranno essere nominati in ruoli di governo nella Curia vaticana. E benché tale indicazione fosse già stata discussa al Concilio Vaticano II, trova ancora oggi molte resistenze. Puoi spiegarci il perché di tali resistenze?
Il riconoscimento del ruolo del laicato dentro la Chiesa è uno dei grandi temi che il Concilio Vaticano II ha affrontato senza risolverlo. Il Papa, come sappiamo, è un severo critico del clericalismo che reputa essere il vero tarlo del cattolicesimo odierno, specialmente di quello ecclesiastico.
Il clericalismo si occupa della Chiesa non del mondo, si occupa dei preti non dei laici, si occupa del potere intraecclesiale non della fede e della missione. Per superare il clericalismo occorre una riforma della Chiesa che distingua tra il sacramento dell’ordinazione sacerdotale e il potere nella Chiesa. Questo, tra l’altro, è il modo corretto per rispondere al problema dell’inserimento delle donne nel governo della Chiesa. Le donne non devono diventare “preti” per governare, come vorrebbe parte del Sinodo tedesco. I posti di responsabilità nella Chiesa non devono essere necessariamente collegati al ministero sacerdotale. Anche i laici, uomini e donne, ne hanno diritto in forza dell’unico battesimo.
La riforma della Chiesa che il Papa sta coraggiosamente portando avanti prevede questo pieno inserimento del laicato nel tessuto ecclesiale. Le reazioni clericali sono, a questo punto, pienamente prevedibili e infatti non si sono fatte attendere. Con risultati curiosi: i conservatori, da sempre avversi al Concilio, si sono richiamati al Concilio, fermo all’equiparazione tradizionale tra autorità e ministero, accusando il Papa di derogare dal Vaticano II.
Un altro argomento sollevato dagli oppositori di Papa Francesco è che il Pontefice non è favorevole al paradigma “Dio, Patria e famiglia”. Secondo gli oppositori di Bergoglio, il Papa è contrario alle ideologie e ai politici che propongono un cristianesimo sovranista, cesaropapista. Nel libro lei dedica un bel numero di pagine per spiegare perché il Vangelo è in contrasto con la visione cesaropapista di chi propone “Dio, Patria e famiglia”. Può aiutarci a capire i termini della questione?
Il Papa non è certamente contro il “popolo”. Per i liberal di casa nostra, da Angelo Panebianco a Marcello Pera a Marcello Zanatta, è il Papa argentino ad essere un pericoloso “populista”, un peronista estraneo all’Occidente.
In realtà Francesco distingue nettamente tra valori popolari e populismo. Il populismo è una ideologia e, come tutte le ideologie, ha un valore negativo. Il populismo rappresenta, a partire dagli anni ‘10, la reazione all’era della globalizzazione, all’universalismo astratto dei burocrati di Bruxelles. Rappresenta la valorizzazione degli interessi nazionali e delle tradizioni morali rifiutate dal mondialismo dopo il 1989. In ciò vi sono senz’altro istanze giuste, le medesime che la sinistra post-moderna, attenta solo ai diritti individuali e dimentica del sociale, ha dimenticato da tempo di difendere. E, tuttavia, una reazione non costituisce mai una soluzione.
Contrapporre il particolarismo all’universalismo è errato. Il populismo è la patologia della mondializzazione, non la sua cura. Inoltre i populisti si richiamano, contro il relativismo etico dominante, ai valori propri della tradizione religiosa. I loro capi si atteggiano a “defensores fidei”, a novelli Costantini, e con ciò danno luogo ad una confusione teologico-politica gravida di conseguenze.
È quello che accade oggi in Russia con la “santa alleanza” di Putin-Kirill nella loro guerra contro il “relativismo” dell’Occidente giocata sul corpo martoriato dell’Ucraina. Si tratta di un giudizio che non si può condividere. Ripete, senza avvedersene, l’illusione dei cattolici che appoggiavano l’Action française di Charles Maurras contro il laicismo della Republique, della Chiesa che preferiva le suggestioni clericali di Mussolini all’anticlericalismo di Giolitti e di Turati.
In realtà il vero pericolo, per la fede, non è dato semplicemente dal modello laicistico ma da quello che utilizza il teologico in funzione del politico. Non si tratta solo di una “strumentalizzazione esteriore”, ma del formarsi di una mentalità che non riesce più a distinguere tra il politico e il religioso. Il risultato è la metamorfosi del religioso che, impercettibilmente, cade nel primato del politico.
Il leader populista, indipendentemente dalla sua figura politica, diviene il salvatore della patria e, insieme, della fede. Un messia laico che viene opposto al Papa “relativista”, universalista, modernista.
Assistiamo così al paradosso per cui i credenti più integralisti divengono i più secolarizzati. Per costoro la vera fede della Chiesa “tradizionale” oggi viene salvaguardata da Trump, Putin, Orbán, non già dai Vescovi e dal Papa. Siamo di fronte a un ghibellinismo guelfo, un paradosso tipico del nostro tempo.
Intervista a cura di Antonio Gaspari