C’è ancora chi, guardando ad INSIEME, non prende atto o non vuol comprendere o finge di non capire il carattere autentico della nostra iniziativa. Forse anche perché torna comodo dipingerla in modo tale da farne un più facile bersaglio
Senonché, ciò che, in ultima istanza, sottende il concetto di partito “di ispirazione cristiana”, in quanto decisamente altro dal cosiddetto “partito cattolico” è, in definitiva, la consapevolezza dell’essere la fede – da cui assumiamo quella visione cristiana della vita che non può restare confinata nell’interiorità della coscienza del singolo credente, ma esige di mostrarsi, nella sua originalità, anche sul piano dell’impegno civile e politico – un “dono” che ci è stato elargito gratuitamente e non piuttosto un possesso o un traguardo di cui menare vanto, quasi si trattasse di una conquista personale, men che meno da esibire come fosse un gagliardetto con cui rivendicare un qualche titolo di superiorità. Eppure questa è, in determinati ambiti di area cattolica, una tentazione ricorrente e tuttora presente.
Una inclinazione che vorrebbe mostrarsi come la fiera coscienza di una forza adamantina, laddove si tratta, piuttosto, della corazza di latta – e chi la indossa, se appena si analizzasse seriamente, lo confesserebbe a sé stesso – entro cui celare un sostanziale, sia pure inconsapevole, sentimento di insufficienza che induce a trincerarsi sulla difensiva nella propria cittadella fortificata, evitando di impegnarsi in un confronto schietto con chi proviene da altre culture, da una concezione di cosa siano l’uomo e la storia differente dalla nostra. Senonché il dono sollecita, induce, impegna, a sua volta, a donare.
Gli amici che hanno preso parte all’incontro che Politica Insieme tenne a Tivoli il 3 e 4 agosto 2018, ricorderanno come, fin da allora, discutemmo attorno a questo tema: se e come sia possibile – senza cadere in una astratta visione utopica – assumere la categoria del “dono” come “cifra” cui rapportare strategie che non siano ispirate ad una mera logica di possesso e di massimizzazione del profitto, del tutto chiusa entro una prospettiva che concepisca lo sviluppo esclusivamente in termini di accesso crescente ed illimitato a beni di consumo.
E’ possibile elaborare, in alternativa, un concetto di “beni di relazione” che, senza la pretesa di rovesciare come un calzino le logiche di mercato, introduca nelle dinamiche, liberiste o neoliberiste che siano, oggi dominanti, il virus – è forse il caso di dirlo – di un’ottica alternativa che, sia pure faticosamente, provi almeno a mettere in discussione il muro impermeabile di un mondo talmente autoreferenziale da rattrappirsi su sé stesso? In fondo, la pandemia e la campagna vaccinale non sono forse un banco di prova che ci sfida anche su questo piano?
Non siamo forse posti nella condizione di dover fare per ragioni di necessità, per una sorta di carità pelosa quello che non siamo in grado di mettere in atto per un elementare compito di solidarietà?
Se pur vaccinassimo a tutto spiano, ma scordassimo di assicurare la stessa garanzia alle popolazione dei Paesi del sottosviluppo, non faremmo altro che coltivare enclaves nelle quali il gioco delle mutazioni selezionerebbe ceppi virali resistenti e più aggressivi che potrebbero riportarci il virus s domicilio un’altra volta. Il concetto secondo cui la nostra libertà viene ad essere compromessa e, in qualche misura, delegittimata dall’ ingiustizia, da un abissale disparità sociale, non è evidentemente solo una petizione di principio, ma – ad esempio, in questo caso – un fatto reale ed oggettivo.
Il sovranismo non regge, neppure in chiave vaccinale ed il mondo dello sviluppo avanzato, al di là delle convenienza del momento, ha il diritto di preservare sè stesso e congiuntamente il dovere di adottare strategie di coinvolgimento e di protezione dei Paesi meno fortunati. Se pur volessimo recalcitrare è la pandemia ad imporre il gioco.
La gratuità, la reciprocità, il dono, la ratio del dono sono versanti su cui è necessario riflettere per cercare di riconvertire costumi, orientamenti, abiti mentali che ci portiamo appresso da un altro mondo, da un’ età che ci siamo lasciati alle spalle.
Ce lo insegna Jean Luc Marion quando sostiene che la definizione del cittadino – sottratto al mero ruolo di “agente economico” – “…non verrebbe più dall’appropriazione, dalla proprietà, dall’indipendenza, dall’autonomia, in breve dai termini di scambio, (bensì) rinvia a niente meno che alla logica del dono……..Si tratta senza dubbio della sola rivoluzione realista che potrebbe salvaci da noi stessi. Almeno i cristiani lo credono”.
Domenico Galbiati