Una pista insolita e dunque preziosa per riflettere sulle elezioni europee “insegue” i dati sull’interesse dei giovani per l’Unione europea; è vero che il peso del voto giovanile è quantitativamente ridotto, anche per ragioni demografiche, ma resta comunque altamente simbolico nella prospettiva futura. Osservati dal punto di vista dell’età, e ancor più attraverso la qualifica “studenti”, c’è un solo dato in cui la percezione e visione dell’Europa è radicalmente diversa rispetto alle altre fasce di età, al punto da profilare due società. L’empatia per l’Europa, e persino una propensione ad andare a votare, diventano più eloquenti osservando la posizione sociale e professionale delle persone; così, l’impatto delle percentuali è più appariscente a favore degli studenti. La fiducia dei giovani nell’Ue è talmente alta da doppiare quasi il dato delle altre professioni fino a quadruplicarlo rispetto alla fascia di casalinghe, operai e disoccupati.
È vero tuttavia che dal 2023 anche il dato giovanile è in discesa, restando sempre superiore ai livelli pre-Covid.
Ponderando cautamente questo maggior interesse dei giovani per l’Europa, va aggiunta un’altra caratteristica che, nel tempo, ha registrato una tendenza non banale a considerare il voto europeo come attribuzione di stima o, più spesso, voto di prova, diversamente dalle politiche in cui alle scelte consegue un preciso indirizzo di governo. In ogni caso si registra un grado di maggior libertà degli elettori.
Peraltro, anche nelle politiche 2022, il cluster riconducibile ai giovani (18-25 anni) aveva optato per scelte elettorali diverse dalle altre fasce di età, riducendo le distanze tra i vincitori e le altre forze politiche, ma anche evidenziando una mappa di scelte valoriali non facilmente ricomponibili. Tanto per capire la portata di questi dati, i loro voti hanno ridimensionato il partito di maggioranza relativa (Fratelli d’Italia perde quasi il 10% dei suoi consensi nazionali). Ma in quell’occasione si è rivelata ben più rilevante un’annotazione di Sabino Cassese: “Il messaggio
delle scelte elettorali è chiaro, sfiducia nei governanti, affidamento nella breve durata e nel ricambio. Il popolo ha più fiducia in deleghe temporanee”.
Tornando all’appuntamento europeo, non mancano ulteriori elementi di interesse: esse hanno giocato negli ultimi tempi un impatto rilevante anche sullo scenario domestico. Basti pensare alle ultime consultazioni, che pure erano avvenute a breve distanza dalle politiche, che avevano consacrato i 5 Stelle alla leadership nel Parlamento nazionale. Ebbene, nel giro di pochi mesi il primo partito è scivolato al terzo posto con una brusca riduzione dei consensi; al primo si è classificato quello che alle politiche era risultato quarto, e persino l’unico caso di conferma al secondo posto – il Pd – ha registrato un significativo aumento dei consensi. È difficile immaginare uno scossone
più considerevole di quello che abbiamo conosciuto e che, infatti, ha provocato conseguenze nella “governance” italiana. Sappiamo peraltro che non c’è una coerenza vincolante tra governo del Paese e risultati europei, ma la percezione di cambiamento è aumentata dal fatto che sono in gioco i partiti, non le coalizioni.
Proprio questa sottolineatura evidenzia l’incognita più grave di queste elezioni (già sicuramente condizionate dal
clima emotivo della guerra): le istituzioni europee hanno elaborato un’importante linea di difesa della sovranità politica dei cittadini e degli Stati, ma ciò non esclude che quelle di giugno rappresentino una chance imperdibile per chi vuole manipolare i risultati. Essendo in gioco i partiti, si accorcia la possibilità di investire su forze anti-europee o comunque ispirate a negazionismi variamente motivati.
Investire sulle “fake” e sull’ “information disorder” diventa dunque più plausibile, ricordando che il disordine internazionale, a partire dalla Russia di Putin, ha buon gioco a spingere per indebolire un’Europa unita.
Mario Morcellini
Pubblicato su Formiche