Adesso ce la faranno pagare. Siano essi i tedeschi, i francesi, gli olandesi, i commissari europei insomma o i mercati. Ce la faranno pagare la mancata ratifica del MES.
Abbiamo sottoscritto un accordo internazionale (2021); abbiamo versato la nostra quota per costituire un fondo anticrisi; abbiamo assicurato che lo avremmo ratificato come hanno fatto 27 Paesi su 28 entro l’anno dopo una serie di rinvii; abbiamo atteso la revisione del patto di stabilità, non si sa bene se concordato o subito, e alla fine il governo non si è mosso.
Solo i parlamentari dell’opposizione hanno posto in commissione bilancio il problema urgete della ratifica: l’Italia ha firmato l’accordo, ha garantito a Bruxelles che avremmo proceduto alla ratifica entro l’anno ed ora il governo non si muove? Finisce che si discute in commissione,
il governo interviene e assicura che non ci saranno oneri finanziari conseguenti alla ratifica. Poi in seduta alla Camera i partiti che reggono la maggioranza decidono di votare contro.
Del nuovo Patto di stabilità non se ne parla per niente e dopo quanto è successo si sente il sapore della ritorsione, per non dire altro. Ai tempi della prima Repubblica sarebbe bastato molto meno per fare cadere un governo. E il signor ministro dell’economia come la mette? Proprio il prudente Giorgetti aveva tranquillizzato i colleghi europei: come si presenterà ai prossimi incontri?
Questa non è politica, o arte del possibile, è piuttosto la fiera delle ambiguità. E questi non sono partiti che si illudono di fare tattica, ma piuttosto consorterie che non disdegnano l’ipocrisia pur di fare tutto in chiave di consenso elettorale.
Ma la vicenda del MES non è l’unica prova delle capacità di questo governo. Altri sono i fatti che revocano in dubbio competenza e professionalità.
Primo. Resta l’ombra del patto di stabilità, come si diceva, che è stato accettato via Pec dopo un’intesa tra tedeschi e francesi. E’ lecito sospettare che questo accordo sia solo stato sopportato.
Siamo un paese tra quelli dove il debito supera il novanta per cento del PIL quindi dovremo ridurlo in ragione dell’uno per cento all’anno. Anche il deficit dovrà contenersi nello zero virgola cinque sia pure al netto degli interessi. Dai primi calcoli il fabbisogno per i prossimi tre anni sarà di almeno cinquanta miliardi in più, compresi quelli che mancano nella legge di bilancio. Si ridurranno le spese o si applicheranno nuove tasse?
Secondo. L’accordo sui migranti, che supera il famoso patto di Dublino, ha cambiato ben poco: ognuno si tiene i suoi e l’Unione europea pagherà un importo per ogni migrante alla stregua di ciò che è stato fatto con la Turchia.
Qui è venuta veramente meno la solidarietà dei paesi europei, ma noi che cosa facciamo per meritarcela?
Terzo. La nomina del nuovo presidente della Banca Europea degli Investimenti ha visto prevalere la candidata della Spagna. Noi abbiamo messo in campo uno dei più autorevoli banchieri del nostro istituto centrale e non siamo arrivati nemmeno secondi nella conta, ma terzi.
Quarto. L’assegnazione della prossima EXPO è toccata all’Arabia Saudita. Anche qui su tre candidati siamo arrivati terzi, addirittura dietro la Corea, con qualche spicciolo di voto.
Ecco con l’evidenza dei fatti il senso dell’Europa del governo. Quando conviene la presidente cena a lume di candela con Macron e Scholz. Quando si ritiene che non serva non si rispettano i patti. E non sarà l’ultima, fino a quando la Presidente non finirà la contesa con Salvini.
Guido Puccio