E’ facile – e un po’ tutti potremmo farlo – iscriversi al partito delle anime “candide” che dicono: lasciamoli governare e poi vediamo. Del resto, cosa può fare quella larga parte d’italiani che paga un’iniqua legge elettorale che impedisce loro di offrire delle ipotesi alternative a quelle diventate appannaggio esclusivo di una casta politica che continua imperterrita ad occupare il potere, nel gioco dell’alternanza tra destra e sinistra?
Un giochetto che dura da trent’anni e che vede la corrività dei mezzi d’informazione, già tutti ad esaltare Giorgia Meloni con molto di quello stesso zelo e servilismo con cui 20 mesi orsono esaltarono l’arrivo di Mario Draghi. Anche se i due, a rigor di logica, dovrebbero essere considerati alquanto agli antipodi. Non a caso Giorgia Meloni gli ha votato sistematicamente conto.
Comunque, anche qualora – trascurando il fatto che nei prossimi mesi saremo di fronte a decisioni irreversibili e di estrema gravita – ci iscrivessimo al novero delle anime “candide”, e per quanto intenzionati, davvero, a vedere come se la caveranno Giorgia Meloni e la sua squadra, non possiamo evitare di cogliere delle anomalie lungo il percorso appena iniziato, sviluppato dal 26 settembre in avanti. Se è vero che nei dettagli si annida il diavolo, è altrettanto vero che dai primi passi di un’esperienza politica, o di governo, si possono capire tante cose.
La stessa composizione del Governo apre una finestra cui, evidentemente, ci potremo sporgere per giudicare solamente quando i fatti diventeranno concretezza. Guido Puccio (CLICCA QUI) ci ricorda il famoso traguardo dei cento giorni. La prima cosa che colpisce è che questo appare come un Governo già fortemente squilibrato per ciò che riguarda la composizione territoriale. Il Nord – anzi la Lombardia, da dove provengono ben sei dei sei ministri della Lega – è evidentemente preminente. E l’aver anteposto il termine Mare a quello del Sud la dice già lunga su cosa ci si debba attende dal Ministero per il Mezzogiorno.
Inoltre, e anche questo lo abbiamo già fatto rilevare (CLICCA QUI), siamo di fronte ad un esecutivo “militarizzato” dai partiti che hanno usato esclusivamente due criteri: la parcellizzazione dei loro interessi e l’uso del bilancino per raggiungerla. Il futuro ci dirà se ciò irrobustirà o meno l’azione di governo e la coabitazione.
“Così fan tutte”, viene da dire. Ma ci avevano promesso altro. E anche questo conta. Almeno agli occhi di chi crede ad una politica diversa e ad un maggior rispetto della “cosa pubblica” che, in una società moderna, non è data in appalto esclusivo ai partiti.
Vi è poi un pregresso più significativo di cultura politica. La premier Giorgia Meloni, di cui non dev’essere comunque sottovalutata la comprimarietà con Silvio Berlusconi e Matteo Salvini, ha una lunga storia, una provenienza talmente ben definita da far presagire un progetto piuttosto facile da identificare. Può, soprattutto, vantare un florilegio di parole d’ordine distribuite nel corso degli anni che pesano parecchio, come peseranno gli atti concreti che porteranno a formulare un giudizio organico e completo, durante e alla fine della sua vicenda a palazzo Chigi. E poi, una Fede antieuropea, che ha portato all’alleanza con le espressioni più radicali di sovranismo e populismo.
Qualcuno ricorderà che fu per questo che Fratelli d’Italia non volle far parte della cosiddetta “maggioranza Ursula” e, poi, non ha voluto sostenere l’esperienza Draghi. Una sorta di riciclaggio, ma parziale, è avvenuto solo con la riscoperta del cosiddetto “atlantismo”, grazie alla guerra d’Ucraina esplosa a seguito dell’aggressione russa: una novità per una parte della destra, per i suoi ancestrali riferimenti che tengono conto di quello che fu il corale impegno occidentale contro il nazifascismo.
Infine, anche se sarà forse solo una civetteria, c’è pure una sorta di gusto retrò che si ritrova in una larga parte del linguaggio utilizzato da Giorgia Meloni e di quella parte del suo entourage di provenienza di estrema destra. Meno, se non addirittura inesistente, in un’altra area di chi comunque le sta dietro, come ad esempio nel caso di Guido Crosetto.
Così, giungono le denominazioni di alcuni ministeri. Del Mare… della Sovranità alimentare … del Merito. Non siamo alle gozzaniane “buone cose di pessimo gusto”, bensì di fronte alla possibilità che si sviluppi una sorta di doppio binario. Un binario su cui dovrà cercare di avanzare un governo costretto a fare scelte difficili, persino contraddittorie con quanto si è detto per anni da parte di Giorgia Meloni e dei suoi, e con quanto si è largheggiato nel promettere durante la campagna elettorale, ed un binario lungo il quale si cerca di creare quella che potremmo definire una sorta di via di fuga nella “distrazione di massa” su temi, questioni e polemiche destinate a finire in niente, se non in provvedimenti largamente inutili.
E’ un’esperienza che abbiamo già attraversato con le leggi sullo “stalking”, sui femminicidi, sull’omicidio stradale, ecc ecc. Servite a far correre la carovana dell’informazione, ma senza portare un ben che minimo contributo alla soluzione di problemi talmente gravi che avrebbero avuto bisogno di provvedimenti assai diversi da sonore dichiarazioni e leggi inconsistenti.
Così, come abbiamo fatto in precedenza, aspettiamo di vederli alla prova, ma senza farsi troppo incantare da effetti scenografici e da sovraccaricazioni retoriche. Sono decenni, ad esempio, che si parla di “sovranità alimentare”, anche per ciò che riguarda la difesa delle nostre produzioni. Probabilmente, l’ex Ministro Zaia, ma anche altri ministri leghisti, quelli che hanno occupato il Ministero dell’Agricoltura per anni ed anni, potrebbero essere prodighi di consigli al neo ministro Lollobrigida. E lo stesso può valere per l’Istruzione e il Merito: si sono dimenticati della riforma Moratti? Per quanto riguarda il Mezzogiorno, al neoministro Musumeci non sfuggirà, lui uno dei pochissimi meridionali nel nuovo Esecutivo, che anche durante i lunghi anni di governo del centrodestra il Sud ha continuato ad arretrare. Non basta cambiare denominazione a nessun ministero. Deve cambiare la politica che vi si fa. E la composizione del Governo, al riguardo, ma non solo, ci lascia “anime candide” … in attesa.
Giancarlo Infante