Sono decenni che si parla di Lavoro. Questione resa particolarmente più drammatica dalle conseguenze delle successive crisi finanziarie mondiali e da due anni di pandemia. Oggi siamo persino costretti a chiederci quali le prevedibili conseguenze che il conflitto in Ucraina, con il seguito delle sanzioni adottate dai paesi occidentali, ci presenteranno.

Le stime sulla crescita sono tutte al ribasso. Già si levano le voci importanti sul rischio che anche il Pnrr possa produrre effetti più limitati del previsto. Senza bisogno, quindi, di attendere le conclusioni della guerra in corso il tema del Lavoro deve tornare in cima all’agenda del Governo e delle forze politiche e sociali.

INSIEME ha lanciato una petizione avanzando 20 proposte per risollevare la condizione del Lavoro e rispondere alle questioni che la definiscono o influiscono su di essa (CLICCA QUI). Sulla base della considerazione che questa, al livello cui è giunta la società italiana, a seguito delle sue trasformazioni pure antropologiche, è questione che non può più essere vista sulla base di una cultura esclusivamente di natura economicista.

Il Lavoro, infatti, si inserisce in una ben più ampia questione sociale ed esistenziale che va oltre le sue ricadute oggettive e materiali , in quanto permette l’espressione della persona e costituisce, quindi, elemento essenziale dell’identità personale e sociale della donna e dell’uomo. Il Lavoro è necessario e rilevante non solo per l’economia, ma per la persona umana, per la sua dignità, per la sua cittadinanza e per l’inclusione sociale.

Nel nostro Paese il lavoro è diminuito per una serie di concause (dinamiche della globalizzazione e delocalizzazioni, sviluppo dell’automazione, errate scelte di politica industriale, ricerca del minor costo e non della maggiore qualità, crisi economica dal 2008, crisi pandemica ecc.) e ha progressivamente perso dignità e ruolo, causando crescenti squilibri sociali. L’Italia è l’unica nazione tra quelle sviluppate ad avere una popolazione attiva inferiore a quella delle persone inattive. Abbiamo un tasso di occupazione inferiore di 10 punti rispetto a quello della media dei Paesi UE, equivalente a 3,7 milioni di posti di lavoro. A fare la differenza è il sottodimensionamento di molti comparti dei servizi pubblici e privati (sanità, assistenza, servizi alle persone e alle imprese, istruzione, comunicazione…).

Non partecipa al mercato del lavoro una quota significativa di giovani under 34 – un terzo dei giovani nella fascia 15-24 anni non studia né lavora e ingrossa i preoccupanti numeri dei cosiddetti NEET – delle donne e della popolazione in età di lavoro del Mezzogiorno. Si tratta di un ampio bacino di risorse umane inutilizzate (circa 5,5 milioni secondo l’Istat, sommando le persone in cerca di lavoro, scoraggiate o disponibili a cercarlo a determinate condizioni, tra le quali 2,1 milioni di giovani che non studiano e non lavorano), o sottoutilizzate nell’ambito lavorativo (1,4 milioni di part-time involontari). Consideriamo anche il mezzo milione di giovani che hanno completato percorsi formativi di un certo rilievo e si sono trasferiti nei Paesi esteri che offrono migliori opportunità di lavoro.

E’ all’interno di questa visione che le nostre proposte partono dal superamento della visione assistenziale che finora ha connotato gran parte degli interventi in materia di Lavoro.

Uno dei presupposti è quello di formare una nuova imprenditorialità. Cosa imposta dall’andamento delle dinamiche mondiali che sollecitano per il sostegno di un processo di crescita per quanto riguarda sia il campo del tradizionale “manager” d’azienda, sia quello del lavoro digitale.

Così è fondamentale sposare la logica di dare priorità agli accordi di erogazione di servizi reali (contratti di ricerca ecc.) rispetto ai sussidi monetari; fare investimenti nei settori strategici dell’energia, dell’ambiente, dell’intelligenza artificiale, nonché nel prioritario settore della formazione dei lavoratori come impone la sfida di mettere la persona al centro del lavoro.

La proposta di INSIEME è anche quella di definire un Piano quinquennale 2023-2027 per l’innovazione e la ricerca, indirizzato alle Università Italiane ed ai Centri e agli Istituti di ricerca, pubblici e privati prevedendo che il 50% delle risorse messe a disposizione vadano vincolate all’attività di ricerca secondo gli indirizzi di priorità del piano e non finanziare alcuna attività diversa con risorse pubbliche non coerente con la priorità del Piano. Lo strumento principale per questo fine è l’intervento pubblico con la  realizzazione di un sistema di formazione permanente.

E’ inoltre necessario avviare politiche di diffusione del progresso tecnologico su tutto il territorio nazionale per la massimizzare della capacità di incrementare i processi di accumulazione e la competitività del sistema e trasformare l’ANPAL in una Agenzia nazionale federale del lavoro al fine di- far condividere l’attuazione dei programmi di rilevanza nazionale approvati dalla Conferenza unificata Stato Regioni Enti locali (reinserimento lavorativo, scuola-lavoro, immigrazione e mobilità internazionale); migliorare gli strumenti (sistemi  informativi domanda e offerta, integrazione tra politiche passive e attive, gestione delle condizionalità per i beneficiari dei sostegni al reddito e delle sanzioni, metodologie di intervento e di cooperazione tra gli attori, interventi di supporto ai territori che lo richiedono).

Per sottoscrivere la petizione di INSIEME  sul Lavoro CLICCA QUI

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