Il (non) viaggio di Matteo Salvini, novizio predicatore della pace, è andato in fumo com’era piuttosto prevedibile, almeno da parte di chi è avvezzo agli affari esteri o, più in generale, a questioni di rilievo istituzionale. A mio avviso, non colpisce tanto lo slancio, più o meno genuino, magari bonario e artigianale, oppure la superficialità dell’uomo politico – pardon, dicasi leader (quanti leader ci vengono generosamente offerti negli ultimi decenni!) – quanto il fatto che il “Matteo nazionale” non si avvalga di consiglieri adeguati al proprio ruolo di segretario del II/III partito d’Italia.
D’altro canto stupisce, parimenti, la sostanziale assenza, in momenti nient’affatto marginali, della Farnesina, il M.A.E. dotato di un’organizzazione meticolosa, non che elefantiaca ed alquanto valida che non si sa bene se sia stato informato o meno della vicenda relativa all’estemporanea iniziativa del leghista convertitosi a “più miti consigli”; oppure se l’alta diplomazia e lo stesso ministro Gigino, pur essendone a conoscenza, non abbiano avuto modo, tempo e volontà di intervenire per risolvere efficacemente la “vexata quaestio”.
Premesso che in un momento di particolare delicatezza ed apprensione come l’attuale, a livello europeo e più precisamente per il popolo italiano (nettamente contrario all’invio di armi per fomentare il prosieguo del conflitto), ogni protagonista della politica interna cerca di ritagliarsi una sfera di proprio indirizzo e propaganda a fini elettorali, invece che perseguendo finalità di carattere generale, appare comunque evidente che Salvini ha trovato un certo vuoto nella politica estera, una qualche carenza nell’azione di intermediazione e nella ricerca e costruzione del dialogo da parte del Governo in carica. E pertanto s’è messo a “cavalcare la tigre” … furbescamente.
In fin dei conti, bisogna onestamente ammettere che, sebbene l’idea del “nostro” abbia arrecato ragione di disturbo e risentimento nell’ambito dell’esecutivo, possiamo vedere in tale gesto “goliardico” una sorta di bicchiere mezzo pieno nel senso che ogni barlume di atto finalizzato ad aggiungersi e rafforzare la politica pacifista, predicata e guidata saggiamente da Papa Francesco, non può che essere il benvenuto nella prospettiva del raggiungimento dello scopo vero che la gente di buon senso, in primo luogo noi cattolici, desidera ardentemente: la fine di questa, folle guerra ai confini dell’Europa al più presto possibile.
Si superino, or dunque e finalmente, le non poche contraddizioni ed ipocrisie, l’opportunismo dei produttori e venditori di armi, l’ottusa faziosità di chi è figlio della solita “mamma sempre incinta”, sposando un sano e non ideologizzato pacifismo, sì da restituire all’immagine internazionale del nostro Paese una sua credibilità ed affidabilità nel segno di una storia “pesante” fatta da statisti, eroi e patrioti, oltre che di letterati e scienziati riconosciuti l’eccellenza dell’intelletto umano a livello planetario.
Michele Marino