Con penna felice, Paolo Corsini, cattolico non di tradizione democristiana, ha scritto ieri sul “Giornale di Brescia” un articolo interessante sul movimento che ha preso origine dal cosiddetto “Documento Zamagni”.
Alla fine del pezzo, l’autore scrive che i responsabili di questo movimento dovrebbero porsi il problema se convenga lavorare alla fondazione di un nuovo partito d’ispirazione cristiana o se non sia preferibile, viceversa, impegnarsi al fianco o dentro il Pd.
A me pare che Corsini ponga solo retoricamente un dilemma. A legger bene la sua scelta è ben chiara, ed è quella che egli definisce “l’impegno a rafforzare una casa comune di quanti condividono i valori neoumanistici che il Manifesto pone a fondamento di una visione e di un progetto”. E tale impegno egli suggerisce si debba assumere militando nella “casa comune”, cioè nel Pd.
Ora questa a me pare una visione in contrasto con la chiara esperienza politica del Pd vissuta in questi lunghi anni, caratterizzata dal prevalere nella vita interna di quel partito di logiche di appartenenza ai vecchi ambienti che lo compongono. Gli stessi esponenti di provenienza Pci come D’Alema, uno dei promotori del disegno unitario, oggi onestamente riconoscono che l’auspica fusione non è mai riuscita.
Lo stesso ricorso a definizioni culturali di tipo neutro, come il “neoumanesimo”, che tutto contengono ma nulla chiariscono, denuncia che il tema culturale è un falso problema. La sola logica politologica del gruppo di potere e della convenienza pratica definisce bene il problema della scelta partitica.
Lo stesso Corsini onestamente richiama l’attenzione sulla probabile normativa elettorale che comunque non favorirà formazioni partitiche di esiguo consenso. Nell’attuale contesto ecclesiale e culturale della società italiana, chi potrebbe avere l’ardire di applicare la impegnativa formula di Scoppola sulla “democrazia dei cristiani”, definendo quale democrazia e quali cristani?
Lungi infatti da Pietro ogni idea di democrazia che non fosse anche liberale e ogni idea di cristiano che non fosse sinonimo dell’essere uomo. Lasciamo perdere ogni confusione dei termini. Il progetto del citato Manifesto non riguarda la scelta politica per questo o quel partito. Esso mira ben più in alto, riguarda la vita politica e la vita ecclesiale.
Mira cioè a favorire la confluenza di tutti gli italiani di buona volontà, animati da forte e libero senso civico e altrettanta libera e forte fede cristiana. Nessuno vi è escluso. Chiaro? Non confondiamo. L’impegno futuro, secondo il Manifesto, riguarderà la formazione della coscienza degli Italiani sia sul piano ecclesiale sia sul piano politico, lasciando poi ai singoli e alle eventuali comunità di declinare liberamente la scelta di come, dove e quando il loro impegno, secondo “quel che ditta dentro”.
Chiaro? Così almeno io ho inteso.
Giuseppe Ignesti
Pubblicato su Il Domani d’Italia dell’8 gennaio 2020