Probabilmente l’Europa di oggi di più non può fare. E con lei, Ursula von der Leyen e tutti i governanti dei 27. Pure loro devono affidarsi al Manuale Cencelli.
Per i più giovani, anche se già hanno familiarità con ogni sorta di spartizione del potere offerta dalle cronache politiche di oggi, vale la pena ricordare che quel Manuale, prese il nome da un funzionario della vecchia Dc, ha indicato per decenni il meccanismo per accontentare tutti i partiti. Anche quello dell’allora giovanissima Giorgia Meloni.
La Rai fu il luogo di applicazione per eccellenza. Ma non sfuggivano tutte le altre aziende pubbliche e, talvolta, persino taluni giornali, sia pure considerando che essi erano pur sempre di un padronato privato. La logica era semplice ed efficace. La forza del voto decretava il numero, e il peso, dei posti da spartire.
È il metodo usato dalla von der Leyen e di quelli che, con lei, hanno definito la composizione della Commissione europea.
I popolari hanno fatto la parte del leone. Sia perché il Ppe è risultato il partito con più suffragio, sia perché la sua composizione interna dev’essere tenuta in considerazione. Un conto, ad esempio, sono i popolari polacchi di Tusk, fermissimi contro l’estrema destra. Altro, la variegata galassia tedesco – bavarese che ondeggia tra chi la pensa come Tusk ed altri che non disdegnano le buone relazioni con i Conservatori della Meloni. Ma c’è chi, persino, soprattutto nella Germania orientale, pensa persino di fare qualcosa con i neonazisti della Afd.
Complesso, dunque, il quadro in casa von der Leyen. E ancora più grattacapi vengono dall’accontentare tutti e i 27 paesi.
Un Manuale Cencelli in grande, insomma. Che spiega talune nomine che possono oggettivamente suscitare ilarità, ma non solo. Basti pensare che è austriaco il candidato destinato ad occuparsi dei grandi fenomeni migratori o che, pur di dare qualcosa all’Ungheria, il rappresentante del piccolo paese magiaro si occuperà di Sanità. E che dire del Commissario della Lituania delegato Difesa e Spazio. E pensare che l’esercito della Repubblica baltica è composto da tre brigate di fanteria e da un battaglione del genio. Sullo Spazio stendiamo un velo pietoso.
Ma non ci può aspettare di più in una Europa che deve per forza di cose attendere tempi migliori e per il momento affidarsi al Manuale … von der Leyen.
In questo contesto si colloca la “sistemazione” dell’Italia. Che non poteva certamente restare fuori. Il risultato è una sorta di ridimensionamento visto che Fitto non è il primo Vice Presidente, lo sarà una spagnola, e che il posto di responsabile uscente della politica economica era il nostro Paolo Gentiloni. Con in più il “capolino” che tornano a fare i cosiddetti “paesi frugali” e che non vedono l’ora di tornare a parlare soprattutto di Debito pubblico.
Ma va bene così. È utile e necessario che chi ha perso in Europa, sia sul piano del voto, sia perché si ritrova sostanzialmente ai margini della maggioranza, e per propria scelta, impari a sprovincializzarsi e ad andare un po’ al di là dei propri nostalgici convincimento. E che magari cominci ad entrare nel vivo dei complessi meccanismi di una realtà sovranazionale com’è l’Unione che non concedono molto spazio alle visioni ideologiche e al preconcetto, al posto delle idee.
Ovviamente, Giorgia Meloni, e nonostante tutte le evidenze, si intesta la vittoria per il proprio Governo. Già dimentica che Fitto sarà a Bruxelles, dopo il voto del Parlamento, perché l’Italia come paese non poteva rimanere completamente esclusa a causa sua.
Anche in vista di quel voto, ed entrando già nel clima felpato di Bruxelles, sarebbe il caso di smorzare i toni. E mettere la sordina a quelle roboanti dichiarazioni sull’Italia che ritornerebbe “centrale” in Europa con la nomina di Fitto. Cosa non vera se solo pensiamo al ruolo svolto dal già ricordato Gentiloni, da Mario Draghi alla Bce, e prima ancora da Mario Monti e da Romano Prodi.
Più discrezione, oltre che meno retorica, non guasterebbe. Fortuna è che Fitto lo sa molto meglio di Giorgia Meloni.
Giancarlo Infante