Le evidenti e imbarazzanti “contorsioni” delle forze di  governo su una serie di questioni centrali della vita politica italiana- dalla nomina del Commissario straordinario per gli alluvionati della Romagna  alla questione del MES – portano alla luce un aspetto inquietante della nostra realtà democratica: un governo che per continuare a funzionare deve agire in modo non solo diverso, ma addirittura opposto a quanto dichiarato in campagna elettorale soltanto pochi mesi fa.

Poco male secondo molti commentatori politici, l’essenziale è che la presidente Meloni assuma realisticamente i compiti  che la realtà interna e i vincoli internazionali ci impongono ora. Quanto promesso agli elettori conta di meno. Poco male, forse, per i conti pubblici attuali. Molto male, sicuramente, per la democrazia, per chi ancora è interessato a mantenerla viva.

Ancora una volta è il MES che  torna a colpire. E’ il “dilemma del MES”( U. Baldocchi, 7 febbraio 2023 Politica insieme CLICCA QUI) che torna a pesare sulla politica italiana e a porre il complesso problema dell’equilibrio tra obiettivi di stabilità e obiettivi di solidarietà entro l’Eurozona ed entro l’Europa( come si riconosce, del resto, su Politica insieme nei due articoli del  23 giugno 2023, in Giancarlo Infante, “MES Galeotto o no?” (CLICCA QUI) e “INSIEME e il MES: serve solidarietà in un’ Europa popolare” (CLICCA QUI)).

Sulla vicenda del  MES continua a dominare, nel mondo mediatico e giornalistico, un silenzio imbarazzante, che tace passaggi essenziali, come il fatto che il Meccanismo Europeo di Stabilità non è stato mai riformato, come avrebbe voluto la Commissione, ma è stato solo “conservato aggiornandolo”, come si è deciso  invece nella Dichiarazione franco tedesca  di Mesenberg del 19 giugno 2018.

Molto male tutto questo, dicevamo, per la democrazia. E non soltanto perché ne emerge l’ambiguità del rapporto con l’UE. Ma soprattutto per altro. Il fatto è che una democrazia, per esser tale, non può fondarsi solo sulla libertà di scelta elettorale, sulla libertà di scegliere un “capo” o un “partito” che governi, ma ha bisogno di molte altre condizioni. Ha bisogno per esempio di “accountability” cioè di responsabilizzazione : l’elettore deve sapere quali politiche intraprenderà la sua parte politica e di cosa dovrà rispondere: non può affidare la sua scelta alla capacità di governo presunta o reale di una persona o di un partito. Ed il fatto è che purtroppo, soprattutto in Italia, le campagne elettorali sono divenute contese fra opposte tifoserie, che litigano su questioni identitarie, questioni  che non hanno quasi mai a che fare coi grandi problemi centrali e soprattutto  di grande rilievo (si lotta sui temi sicuritari da parte della Destra, sui diritti civili e diritti di nuova generazione da parte della Sinistra). La politica vera, quella che impegna e vincola i governi nelle scelte di fondo, si decide più in alto, in sedi meno trasparenti e più opache, nelle sedi europee, dove certo si discute, ma di problemi che per lo più sono tenuti ben lontani dalla pubblica discussione persino da quelle dell’ Europarlamento. Il MES ne è un esempio eclatante.

Abbiamo poi oggi una guerra convenzionale in corso ai confini d’ Europa, in uno Stato, aggredito dalla Russia, uno Stato che si candida ad entrare nell’UE, una guerra “ibrida”, cioè al tempo stesso militare, economica e sociale, una guerra che, oltre a provocare immani tragedie umane, impoverisce drammaticamente e repentinamente il nostro Paese. Forse mai come prima di oggi.  Anche qui, o qui soprattutto, la democrazia virtuale, la lotta tra le tifoserie su valori importanti, ma spesso  marginali nel conflitto politico, è esiziale. Infatti si somma all’effetto della guerra che ha sempre, per chi vi è coinvolto in qualunque forma, bisogno di censure (“Taci ! Il nemico ti ascolta”) bisogno di nascondimento, di rimozione della realtà.

Un tempo, quando un governo preparava una guerra faceva prima girare il torchio e con la carta moneta metteva in moto gli altiforni per produrre le armi. Da qui nascevano poi l’inflazione di guerra, il carovita e le conseguenze pesanti che ne derivavano. Oggi, il governo non può più far questo in Europa, non essendo il padrone della carta moneta. Può fare però una cosa equivalente e forse anche peggiore nei suoi effetti. Mentre non riesce a fermare l’inflazione, può però dissimulare le spese di guerra (che non sono solo quelle delle armi, ma anche quelle del costo delle contro sanzioni attuate dalla Russia) nelle pieghe invisibili dei bilanci familiari. E’ semplicissimo. Basta non finanziare i costi che grazie alla guerra si riversano sull’energia, sui trasporti e sui generi alimentari, producendo un’inflazione asimmetrica, in modo da non dover finanziare la guerra con titoli di stato, ma semplicemente con il denaro reale risparmiato dalle  famiglie a medio e medio-basso reddito, dalle famiglie  che non dispongono più di margini di reddito adeguati al costo della vita, ma dispongono invece ancora di un patrimonio, magari  risparmiato faticosamente e custodito nei conti correnti e nei libretti di risparmio, e quello iniziano a consumare.

In altri termini, si può finanziare la guerra ibrida- quella in cui le armi sono una piccola parte di spesa di guerra – con una patrimoniale regressiva e invisibile, con un sistema predatorio omogeneo a quello della grande finanza. Basta includere le spese di guerra tra le spese ordinarie, magari tra quelle di resilienza. Questo spiega dove sono finiti in Italia i  61 miliardi scomparsi dai  dai conti correnti, secondo calcoli ufficiali, come ricordato in una dichiarazione di Giuseppe Conte del 22 giugno.

Può esserci allora uno strumento migliore per nascondere questa realtà di una democrazia virtuale e cioè fasulla, che può vantare successi solo isolando alcuni parametri astratti, come il PIL, lo spread, il debito pubblico, la tenuta dei conti pubblici e nascondendo il disastro dei conti privati?

Unico problema: una democrazia del genere si autodistrugge per l’odio e il disprezzo che getta su se stessa.  Qui è oggi il pericolo vero della democrazia italiana, non certo un presunto autoritarismo dell’attuale presidente del Consiglio.

Solo una democrazia virtuale ed astratta, lontana dalla concretezza della nostra Costituzione, è quella che può far scomparire magicamente la realtà dell’ impoverimento crescente, del degrado dei sistemi del welfare, e può sostenere le  logiche della necessità, che, distruggono il tempo, la politica, l’ambiente,  la socialità, la con-vivenza ed anche la sana “finanza” degli Stati, in conformità al neoliberismo costituzionalizzato che sta mettendo a repentaglio l’ Europa.

Il governo, che non può certo mutare apertamente e drasticamente i suoi obiettivi, dovrebbe cercare il sostegno di quelli che Lenin chiamava, con disinvolto cinismo,  gli “utili idioti” e che noi, più educatamente, chiameremmo i Calandrini, della nostra politica, cioè quei politicanti, “sciocchi che si credono astuti”, abilissimi nel “manovrare” dietro le quinte per  far cadere i governi che funzionano o per tenere in vita quelli che dovrebbero andarsene, e che non sanno nulla di come si costruiscono i veri governi e di come si alimenta il consenso vero e ragionevole.  E’ l’unico modo credo di sostenere la drammatica “mission impossible” di questo governo.

Umberto Baldocchi

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