Con l’intesa raggiunta sugli emendamenti finali tra il Governo e i partiti della maggioranza parlamentare, la Legge di bilancio 2022 si accinge a essere approvata nei prossimi giorni senza ulteriori difficoltà. Con questo atto si chiude di fatto un ciclo dell’attività del Governo Draghi, costellato di successi e riconoscimenti internazionali, e se ne apre un altro, condizionato inevitabilmente dalle scelte che saranno fatte per l’elezione del presidente della Repubblica.
L’impianto delle riforme che dovrebbero fornire le basi per una ripresa economica stabile, appare tutt’altro che solido. A dimostrarlo sono una serie di problemi irrisolti, e di compromessi discutibili, che hanno consentito l’approvazione della Legge di bilancio 2022, ma che lasciano in sospeso gli esiti finali dei percorsi annunciati nell’occasione dell’insediamento del Governo Draghi. Ci riferiamo, in particolare, alle riforme: della Pubblica amministrazione, del fisco, del lavoro e del welfare, che, nelle intenzioni dichiarate, hanno il compito di traghettare le politiche economiche verso una stagione di forte ripresa degli investimenti, di crescita della produttività e di un aumento consistente del numero degli occupati.
La parte dedicata alle politiche per il lavoro si sostanzia nella riforma dei sostegni al reddito per la perdita involontaria dell’occupazione, che reintroduce l’utilizzo della cassa integrazione per le chiusure aziendali e la estende anche per l’universo delle micro imprese, in parallelo agli aumenti delle indennità di disoccupazione e della durata temporale dei sussidi. La Legge di bilancio prevede 6 modalità di uscita dal lavoro con i pensionamenti anticipati, affiancate dall’apertura di un tavolo di confronto con le parti sociali per riformare la Legge Fornero nel corso del 2022.
Nonostante gli esiti discutibili, il Reddito di cittadinanza sopravvive nella sua impostazione originale anche se, nel frattempo, è stato introdotto l’assegno unico per i figli anche per le famiglie fiscalmente incapienti. Sul fronte opposto, l’introduzione dell’assegno unico per le famiglie dei lavoratori dipendenti può comportare per il 20% delle stesse delle perdite di reddito rispetto all’attuale regime delle detrazioni fiscali e degli assegni familiari per i figli a carico.
Sul terreno delle riforme abbiamo scoperto l’altra faccia del metodo Draghi. Decisamente meno autorevole di quella messa in campo per fronteggiare la pandemia e per impostare il nuovo Pnrr, fatta di compromessi rivolti ad assecondare le bandierine delle singole forze politiche che sostengono il Governo. Rivolta a contenere i danni, tramite l’introduzione di vincoli di spesa per i singoli capitoli, ovvero avviando tavoli di confronto con le parti sociali per obiettivi (la riduzione dell’età pensionabile) sostanzialmente impraticabili, senza marcare un deciso cambiamento nell’utilizzo delle risorse.
Scelte che sono politicamente comprensibili, se si tiene conto delle promesse elettorali delle forze politiche che hanno vinto le elezioni del 2018 e delle iniziative messe in campo dai primi due Governi della legislatura. Ma che comporteranno in via di fatto un aumento della spesa per le pensioni, per l’assistenza e per le politiche passive per il lavoro. In piena continuità con quanto avvenuto nell’ultimo decennio.
L’esigenza di capitalizzare un consenso che non ha precedenti, senza generare tensioni con le forze politiche che lo sostengono e nei confronti delle parti sociali, offre una spiegazione omogenea alle due facce, apparentemente opposte, del metodo Draghi. Ma in via di fatto ne segnalano anche la debolezza, che trova una speculare conferma nelle preoccupazioni di una parte significativa delle principali forze politiche della maggioranza, riguardo la possibilità di reggere la continuità della compagine di Governo in assenza dell’interprete che ne garantisce la tenuta in presa diretta.
In ogni caso l’ostacolo non potrà essere aggirato. L’elezione del nuovo Presidente della Repubblica diventa per il Presidente Draghi e per le forze politiche che lo sostengono una sorta di verifica della capacità di interpretare gli interessi nazionali, e di farsene carico in presa diretta, anche per le implicazioni impopolari in termini di consenso, che sono destinate ad andare oltre l’attuale congiuntura politica.
Natale Forlani