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Il Mezzogiorno tra vent’anni di progressi e trenta di solitudine – di Michele Rutigliano

Se consideriamo con attenzione il percorso storico del Mezzogiorno dal secondo dopoguerra ad oggi, non ci resta che dar ragione a quel grande pensatore e filosofo  napoletano che fu Gianbattista Vico.  Alcuni studiosi, infatti, hanno applicato la teoria vichiana per interpretare la storia moderna, vedendo nei grandi conflitti mondiali e nei cambiamenti sociali del XX secolo un’ulteriore manifestazione dei corsi e ricorsi storici, con le società che passano attraverso fasi di crisi e  successive rinascite. A periodi di grande prosperità e crescita economica sono seguite fasi di crisi e di stagnazione . Esattamente quello che è successo al nostro Mezzogiorno, nei primi vent’anni della Repubblica e in questi ultimi trenta della Seconda.  Subito dopo il 1948, tutte le Regioni meridionali subirono radicali trasformazioni.  Non solo sul fronte economico, ma anche su quello sociale e culturale. E’ quanto scrive Amedeo Lepore nel suo bel libro, “La Cassa del Mezzogiorno e lo sviluppo dell’Italia”, presentato il 27 maggio scorso alla Luiss qui a Roma.  Ricordiamo a chi ha poca dimestichezza con la Storia che i più importanti cambiamenti al Sud avvennero nei primi anni della Repubblica. Sotto l’impulso dei Governi De Gasperi e dei primi Governi di Centro Sinistra.

E i risultati si videro. Il volto del Sud cambiò radicalmente. Le trasformazioni interessarono tutti gli ambiti della vita comunitaria: non solo quello economico e sociale ma anche quello politico e culturale. Sul fronte economico, ricordiamo cosa rappresentò per il Sud la riforma agraria. Una riforma che mirava a spezzare il sistema latifondistico e redistribuire le terre ai contadini. Questo tentativo di modernizzazione dell’agricoltura mirava a incrementare la produttività e a migliorare le condizioni di vita delle popolazioni rurali. Anche se la riforma non ebbe il successo sperato, rappresentò comunque un passo significativo verso la trasformazione dell’economia agricola meridionale. Poi toccò all’Industria. Con la creazione della Cassa per il Mezzogiorno nel 1950, vennero avviati grandi progetti infrastrutturali, che includevano la costruzione di strade, ferrovie, acquedotti e dighe.

Questi investimenti stimolarono l’industrializzazione e contribuirono a ridurre il divario tra Nord e Sud.  Se poi consideriamo i cambiamenti politici, il primo grande risultato  fu il consolidamento della Democrazia. Sotto la leadership di Alcide De Gasperi, l’Italia piantò le radici delle sue istituzioni democratiche. La stabilità politica raggiunta durante il suo mandato e nei successivi governi di centro-sinistra favorì un clima di fiducia e stabilità indispensabile per le riforme economiche e sociali. Un altro grande risultato raggiunto in quegli anni fu il decentramento amministrativo. I governi di centro-sinistra, infatti,  favorirono le autonomie regionali.

Anche i grandi fenomeni sociali come le migrazioni e l’urbanizzazione dettero un grande impulso allo sviluppo del Mezzogiorno. Il periodo vide un significativo flusso migratorio dal Sud al Nord Italia e verso il Nord Europa. Questi movimenti migratori alleviarono la pressione sulla disoccupazione meridionale, nel mentre le  grandi città meridionali come Bari, Napoli e Palermo  cominciarono a crescere e a modernizzarsi, con  un innegabile miglioramento dei servizi alle popolazioni locali. L’altro fattore di grande rilevanza sociale che interessò il Mezzogiorno fu l’ accesso all’istruzione.  Subito dopo la guerra, soprattutto nelle aree interne, l’analfabetismo raggiungeva percentuali che sfioravano l’ottanta per cento. Fu in quegli anni che si posero le basi per  il contrasto alla povertà educativa.

La costruzione di nuove scuole e l’alfabetizzazione delle masse contadine rappresentarono un  grande cambiamento sociale. Questo processo contribuì alla formazione di una nuova classe di tecnici e professionisti, essenziali per lo sviluppo economico e sociale del Sud.

Grandi risultati si videro anche nel campo culturale, perché si seppero conciliare  i programmi della modernizzazione con la difesa delle tradizioni.  La televisione e i mass media iniziarono a diffondere modelli culturali nazionali, contribuendo a una certa omogeneizzazione culturale, pur salvaguardando le specificità regionali e culturali di ciascun territorio. Tanto per capirci la cosiddetta “Cancel Culture” non attecchì minimamente nei contesti sociali in cui la modernizzazione stava galoppando.  Anche i costumi subirono profonde trasformazioni. L’aumento del benessere e l’influenza della cultura di massa portarono a  grandi cambiamenti  negli stili di vita. La società meridionale iniziò a sperimentare una maggiore mobilità sociale e una più ampia partecipazione delle donne alla vita pubblica e lavorativa, sebbene ci fossero lentezze e resistenze culturali da parte di chi voleva fermare l’orologio della Storia. In tutto questo percorso, ci furono immancabilmente  difficoltà e i limiti. Ma furono questi cambiamenti  a porre  le basi di un progresso economico e sociale che il Mezzogiorno non aveva mai conosciuto prima di allora.

Poi sappiamo tutti cos’è successo al Sud e in generale in Italia, con le grandi crisi economiche   che investirono i paesi industrializzati alla fine degli anni settanta. Gli aumenti vertiginosi dei prezzi  delle materie prime e del petrolio; le crisi ricorrenti successive alla globalizzazione e le speculazioni sempre più aggressive nei confronti della lira hanno fatto il resto.   Con la chiusura della Cassa per il Mezzogiorno e la fine dell’intervento straordinario, il divario tra Nord e Sud del paese, purtroppo, ha ripreso a correre. In questi ultimi trent’anni di Seconda Repubblica, nonostante tutte le risorse  messe in campo dai vari governi e quelle ancor più consistenti stanziate  dall’Europa con il Pnrr , non siamo riusciti ad aggredire quel gap strutturale che scoraggia le nuove generazioni a crearsi un proprio futuro, familiare e professionale, nei paesi e nelle città dove sono nati.

L’Economia tende sempre più ad arricchire le aree più  progredite del paese. La Politica, purtroppo, conta sempre di meno e non riesce a guarire dalla sua impotenza. Tutto ciò premesso,  sarebbe ingeneroso affermare che il Sud è stato abbandonato. Al tempo stesso, però,  non possiamo non constatare che il “ricorso” storico di questi ultimi trent’anni si è sempre più identificato con un decadimento della qualità della vita nella gran parte dei territori meridionali.  Purtroppo per noi dobbiamo fare i conti con una classe politica sempre più mediocre e incompetente. Tutta ripiegata sul piccolo cabotaggio del potere e lontana anni luce dalla cultura, dalla visione e dagli ampi orizzonti  di quei grandi statisti che,  dopo le distruzioni e i lutti  della guerra, dettero il meglio di se per ricostruire l’Italia

Michele Rutigliano

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