La “questione morale”, convitato di pietra del nostro sistema politico, largamente sopravvissuto a Tangentopoli, è un oggetto contundente da maneggiare con cura e con prudenza.  Per lo più viene brandita come un randello contro il nemico, senza rendersi conto, nella foga del momento, che talvolta rischia di far del male anche a chi lo afferra dalla parte del manico. Ovviamente è doveroso un atteggiamento severo e rigoroso di prevenzione e di condanna di ogni degenerazione che abbia a che vedere con la gestione della cosa pubblica. Ma va pur detto che un conto è la morale, la correttezza dei “mores”, la trasparenza del comportamento politico e del costume istituzionale.

Altra cosa il “moralismo” che della moralità è una contraffazione volgare ed avvilente, soprattutto quando viene agitato ad arte con una evidente strumentalità. Purtroppo, assistiamo spesso a questo farisaico avvitarsi di una presunta alta sensibilità morale su sé stessa, fino a contraddirsi e risolversi nel suo contrario. Eppure, sarebbe la cosa più semplice e scontata del mondo se ognuno si facesse carico della propria, personale questione morale e solo una volta sicuro di aver messo in chiaro, nei confronti di sé stesso, la propria buona coscienza, si sentisse autorizzato ad impicciarsi di quella altrui.

Invece, la questione morale diventa una sorta di bomba che i contendenti si gettano l’un l’altro, intanto che la miccia brucia, sperando che, alla fine di questo insistito palleggio, scoppi in mano all’ avversario. Forse non aveva torto il mio vecchio professore di filosofia. Sosteneva che la storia, materia del cui insegnamento era pure titolare, dimostra come non tutti i farabutti siano moralisti, ma come, invece, tutti i moralisti siano dei farabutti. Era, da studioso appassionato, un uomo talvolta eccessivo, eppure coglieva, a suo modo, una contraddizione reale.

Si deve, infatti, tener conto di due aspetti. Talvolta, l’ansia moralizzatrice nasconde una cattiva coscienza e proietta fuori, al di là di sé, una qualche ombra che si vorrebbe sublimare in un impulso catartico. Niente di meglio che l’antico, abusato rito del capro espiatorio, il cui sangue versato è un lavacro d’ innocenza che conforta e pacifica la coscienza. Peraltro, varie sono le forme che può assumere la questione morale che non concerne solo tangenti o voto di scambio. Soprattutto in un contesto democratico ad alto funzionamento, come sono i nostri sofisticati sistemi istituzionali, anche l’ incompetenza, la presunzione, l’ improvvisazione e l’ incapacità sono immorali. Ed è immorale la demagogia ed altrettanto il voto di scambio, anche e forse ancor piu’, quando viene, di fatto, istituzionalizzato.
Anche cambiar parere dalla mattina alla sera, magari con facilità e frequenza sospetta, non ha gran che a vedere con la moralità della politica.

Non servono i codici etici. Serve, piuttosto, un lavoro serio di selezione di una classe dirigente che nasca e maturi solo sul campo, alla prova dei territori, passando, anzitutto, da un radicamento locale che oggi è quasi scomparso, a favore di aleatori movimenti di opinione che non hanno nessuna cultura politica, non hanno storia, né futuro, al di là di qualche occasionale exploit.

Domenico Galbiati

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