Sul finale di Blow-Up, il capolavoro di Antonioni, lo spettatore assiste alla scena dei mimi in una partita a tennis senza racchette e senza pallina. Questo raffigura oggi il dibattito sul nuovo partito che molti si aspettano di vedere in campo. Gli attori lottano con il disincanto. Dalla loro milita la ragione di un bisogno politico riconosciuto; contro di loro agisce la consapevolezza che l’invenzione della novità fuoriesce dai canoni delle buone abitudini.
Ci vuole indubbiamente coraggio. Innanzi tutto, per essere chiari, occorre stabilire un punto di partenza inequivoco. L’errore consiste nel pretendere, con un colpo di bacchetta magica, di allocare nel campo della politica un dato sociale oggettivo. Si parla di nuova sensibilità dei cattolici e si scopre a rovescio la poca consistenza, in termini di traduzione organizzativa pratica, dell’universo credente. Da ciò deriva quel disincanto che porta direttamente alla sminuizione dell’identità cattolica. Allora ci si rifugia in fretta e furia nel protocollo del cosiddetto “partito plurale”, fatalmente inghiottito nel mélange di evocazioni superficiali, molto spesso contratte nel medesimo vuoto che esse invece dovrebbero combattere.
La raffigurazione sociologica di un cattolicesimo debole, quasi a specchio delle contraddizioni operanti in seno alla società, non è la matrice di uno sforzo politico autentico. Al più rimanda a quelle abitudini, appunto, che si pensano buone in virtù dell’apparire allineate alla semplicità del senso comune. Dinanzi alla crisi di una democrazia a bipolarismo populista convergente, non ci sono molte risorse attive, se solo si esclude quelle ancora riposte nella diffusa esperienza del cattolicesimo sociale e democratico. È l’identità necessaria, questa, su cui far leva per scardinare il blocco della reazione sovran-populista.
Al nuovo partito, dunque, non serve una rappresentazione mimetica. Di questo passo l’obiettivo rimarrà sempre lontano, pressoché irraggiungibile. Serve una corale volontà di raccoglimento nel pensiero dell’autonomia – anche nel campo dell’opposizione – in grado di valorizzare un progetto politico a indirizzo autenticamente democratico e popolare. In questo senso l’autonomia vive e opera come sfida, al riparo comunque da rigurgiti d’integralismo. Quanto più assorbirà con intelligenza la lezione delle “idee ricostruttive”, motore della Ricostruzione italiana del dopoguerra, tanto più incrocerà la grande carovana degli italiani in fuga dal deserto della politica attuale.
È una generazione più giovane ad essere chiamata in causa. Se non De Gasperi, consegnato oramai alla storia, almeno un Draghi politico europeista, rivestito di abiti confacenti alla domanda di eguaglianza e giustizia sociale, vorremmo finalmente intravedere su questo cammino faticoso e accidentato.
Lucio D’Ubaldo
Articolo pubblicato su Il Domani d’Italia ( CLICCA QUI )