C’è stato uno strano silenzio sul viaggio di Papa Francesco in Iraq. Per anni abbiamo sentito l’ingenerosa critica verso la Chiesa Cattolica e verso questo Papa in particolare, per l’atteggiamento accogliente nei confronti dei migranti.
L’irrazionalità si è persino giovata di una accusa di complicità della Chiesa verso i trafficanti di uomini che organizzano i viaggi della speranza di migliaia di disperati.
La delirante teoria diffusa a piene mani verteva sull’idea che aiutare i disperati significava favorire chi li sfruttava: gli sfruttatori sicuri dell’aiuto che i disperati avrebbero ricevuto dal “buon samaritano” si sarebbero sentiti incoraggiati nel loro turpe comportamento. A latere di questa fantasia si è provveduto a diffondere l’idea che l’aiuto ai migranti avesse nell’interesse economico il vero scopo.
Un vero e proprio lavaggio del cervello che mirava a screditare la Chiesa Cattolica e minacciare coloro che ne condividono i comportamenti facendo loro rischiare l’isolamento sociale.
Succede, invece, che la Chiesa non solo ribadisce il diritto a non emigrare, ma a proprio rischio e pericolo riorganizza la sua presenza nelle terre dove la violenza di ogni tipo ha costretto tanti all’emigrazione, favorisce il ritorno dei profughi di ogni religione, innesca processi concreti di rinascita economica e morale, è in ultima analisi il riferimento del riscatto. Qui accoglie, lì incoraggia il ritorno.
Allora le critiche? Penso che bisognerebbe riflettere sul fatto che all’umano spesso la risposta è l’inumano, il fastidio se non l’avversione per ogni politica che ci dice che l’altro è un fratello.
Luigi Milanesi