Ciò che sta avvenendo nel dibattito pubblico degli ultimi giorni è, a mio avviso, straordinario. La vicenda di Giulia Cecchettin, le parole della sorella Elena e le parole dei giovani nelle piazze e nelle scuole hanno inchiodato l’attenzione dei giornali e dei media. Forse hanno talvolta anche alimentato le preoccupazioni dei media, visto che conduttori e conduttrici di talk show “impazziscono” nella ricerca di interpretazioni e di letture tendenzialmente “rassicuranti” delle imponenti e inaspettate manifestazioni di piazza contro la violenza sulle donne. Quasi sperando che tutto si riduca a un fuoco di paglia, soprattutto che non si mettano in discussione gli equilibri politici, o la “stabilità” del Paese. Anche il potere politico è infatti imbarazzato, cerca alla meglio di “cavalcare l’onda”, qualcuno forse è preso dalla frenesia di parlar d’altro e le misure proposte dal governo e approvate dal Parlamento in un battibaleno sono d’altronde solo pannicelli caldi.
C’è forse qualcosa che si teme, ma non si confessa. Un castello enorme di menzogne e falsità potrebbe crollare, una vera rivoluzione culturale e civile potrebbe davvero iniziare. Addirittura mettendo in discussione la mediatizzata neo-cultura della guerra lanciata con abbondanza di mezzi e di sostegni a partire dal conflitto di Ucraina. Addirittura si è prolungata una tregua in Palestina! Potrebbe trattarsi dello strappo nel cielo di carta “pirandelliano” che tutto d’un colpo fa apparire la realtà dietro le quinte della costruzione mediatica. .
Ma fermiamoci un attimo. Cosa c’entra la guerra con la violenza sulle donne? E che c’entrano le donne palestinesi ( ovviamente anche le donne israeliane) con la questione dello stupro e della violenza sessuale oltre che del femminicidio? Che cosa c’entra la guerra coi femminicidi? Si può davvero dire che “la guerra è l’espressione più alta del patriarcato” come sembra sia stato detto nella grande e imponente manifestazione del 25 novembre al Circo Massimo a Roma ( LA NAzi del 26 novembre ) ? O è questa solo una bella frase retorica?
In realtà le due cose c’entrano moltissimo. Si è scoperto- delle donne l’hanno denunciato e scoperto per prime, a voler essere esatti- che oggi il femminicidio non è un delitto passionale, ma un delitto di potere e questo è il motivo per cui è tanto diffuso e per cui pare inarrestabile. Non è infatti il prodotto di scatti di follia umana, in ogni tempo possibili ed inevitabili, ma di una cultura diffusa, di una epidemia dirompente che si trasmette per contagio in progressione geometrica. Il vero Covid, di oggi e non solo di oggi. I vecchi movimenti femministi non mi sembra avessero con forza denunciato questo aspetto, considerando la questione femminile non come una questione legata alla cultura del potere delle nostre società, ma come una questione ( riduttiva ed “astratta”,in senso etimologico) della libertà dei corpi, non come una questione( complessiva e “concreta”) della libertà integrale delle persone all’interno delle relazioni umane, o delle “formazioni sociali”. Credo che sia in atto un cambiamento che rende inservibili vecchie e obsolete parole d’ordine e contrapposizioni, che pure forse qualche frangia marginale del movimento può aver tentato di replicare all’interno della grande manifestazione di Roma. Fuori tempo massimo però. .
Si è addirittura parlato, per il caso di Giulia Cecchettin e di tutte le altre di una sorta di “omicidio di Stato” che tale sarebbe “perché lo Stato non ci tutela e non ci protegge”, non è adempiente insomma rispetto agli artt. 2 e 3 della nostra Costituzione, che impongono la rimozione degli ostacoli al libero sviluppo della personalità umana, impone in sostanza la garanzia della pubblica sicurezza. Gli Stati in effetti esistono solo per difendere i diritti dei propri membri. Se non lo fanno a cosa servono?
Ancora esagerazioni? Vediamo meglio. Il potere non è un fenomeno che riguarda la vita dei politici. Il potere è un fenomeno che riguarda ogni persona che viva in relazione ad altre. Ognuno di noi esercita un potere , di influenza, di sostegno, di cura, di organizzazione su altre persone. E viceversa gli altri su di noi. Ma il potere che regola le relazioni umane non è identico a quello che regola le mostre relazioni sulle cose. Non è un potere di consumo, di distruzione, di manipolazione o di libera disposizione, di uso e di abuso. Più che un potere è una potestà, mutuando un termine del diritto civile, una potestà che ci è data per tutelare e garantire gli altri insieme a noi. La potestà genitoriale ad esempio è tale, ma anche il potere che ogni persona ha di disporre dell’altra. Si tratta di un potere che legittimamente può esistere solo se si fonda come ha scritto Elena Cecchettin su “ consenso, rispetto e libertà di scelta”a cui le persone devono essere educate dalle istituzioni a ciò preposte. Senza di esse la vita è semplicemente un inferno e la differenza tra la guerra e la pace sparisce. Quel potere insomma funziona solo se ha dei limiti. La relazione uomo-donna funziona se ci sono questi “limiti” strutturali, che la donna “ricorda” all’uomo. Solo essi garantiscono i diritti di tutti e rendono compatibile il mio diritto col tuo.
Ma che cosa è la guerra se non una contrapposizione innaturale di diritti? Se non una contrapposizione del diritto alla vita al diritto alla libertà alla dignità e all’integrità di ogni persona? Ogni guerra si fonda sulla contrapposizione dei diritti, perché nasce dallo stravolgimento della qualità del potere che distrugge i diritti alla vita per “tutelare” i presunti diritti di libertà, sicurezza ecc. di un’altra parte. Cosa c’è di diverso dalla cultura patriarcale che subordina ad un potere arbitrario le esigenze di un presunto ordine sociale che non conosce la dignità e la sacralità di ogni persona e la sacrifica ad esso?
Non è la stessa cultura quella che alimenta ogni forma di violenza sulle donne? Cultura dello stupro e cultura della guerra non nascono insieme? La guerra non è in se stessa uno stupro, cioè una violenza perpetrata nei confronti di un ordine che stabilisce e dà senso alle relazioni umane ? D’altra parte lo stupro nel senso di violenza sulle donne si è sempre associato alla guerra. Il primo tentativo, storicamente attestato, di una limitazione dello stupro delle donne prede di guerra lo troviamo in Deuteronomio 21, 10-14, laddove si impone una normativa che spinge a considerare la donna prigioniera una persona umana da rispettare, nonostante la cattura. Addirittura, per venire ai tempi recenti, durante il secondo conflitto mondiale la cultura dello stupro fu invece impiegata per promuovere e far funzionare meglio la cultura della guerra. Chi non ha visto il film La Ciociara? Molti però forse ignorano che quegli stupri di guerra non erano il prodotto di una “cultura ” inferiore e un abuso dei militari, ma semplicemente la regola contrattuale di guerra con cui si arruolavano le truppe, in questo caso marocchine, che combattevano per le forze della Francia Libera in Italia , assicurando la libertà di stupro e di saccheggio su teritorio nemico – licenza quindi “valida” legalmente, fino all’avvento del governo Badoglio-. ( Michael Walzer Guerre giuste e ingiuste, Napoli, Liguori, 1990 ( ediz. orig. 1977 New York, p. 183). Una licenza che nelle intenzioni dei comandi dovevano servire a incentivare i militari all’uso della violenza.
Lo stupro delle donne quindi come incentivo alla guerra, come uno strumento per degradare l’umanità di vittime e persino dei carnefici. Non un metodo molto diverso da chi deprivava dell’identità e del nome oltre che di ogni diritto le persone che venivano ridotte ad uno stato di sub-umanità già all’arrivo nei Lager.
Perche allora stupirsi se la guerra è considerata un frutto del patriarcato, che oggi non esiste più come istituzione, ma è resistentissimo come residuo culturale, alimentato dalle molteplici crisi che fragilizzano la società e distruggono ogni “politica della cura umana”? Se la guerra è considerata come un residuo ancor presente in una società che rinuncia ai suoi doveri “repubblicani” inderogabili di difendere la dignità e la libertà delle persone più fragili, agendo soprattutto sull’educazione, oltre che sulla prevenzione dei reati e sulla gravità delle pene? Perché stupirsi se la lotta per la pace diviene tutt’ uno con la lotta contro questo disumano patriarcato ? Perché stupirsi se in Italia stiamo riscoprendo un nuovo senso e una nuova dimensione dei diritti nella vita associata, se stiamo riscoprendo il senso dei limiti al potere?
Umberto Baldocchi