Questa che segue è la seconda parte dell’articolo di Rosapia Farese pubblicato lo scorso 14 settembre (CLICCA QUI)

Negli ultimi decenni, la società italiana ha assistito a un cambiamento culturale profondo, che ha portato all’erosione di alcuni dei suoi pilastri fondamentali. Tra i fenomeni più preoccupanti, troviamo la crisi del nucleo familiare tradizionale, la rilasciata della natalità e una progressiva alienazione delle persone rispetto alla vita comunitaria. Questi sviluppi non sono isolati, ma interconnessi in una complessa rete di cambiamenti economici, sociali e culturali, tutti influenzati dalla visione antropologica che guida le nostre scelte collettive. In questo contesto, l’educazione ha un ruolo centrale, poiché plasma le menti ei valori delle generazioni future. È dunque cruciale che il sistema educativo venga ripensato per rispondere a una delle sfide più urgenti della nostra epoca: il bisogno di una nuova visione antropologica.

La Centralità della Persona: Dall’Individuo Sovrano alla Persona-Cellula Viva

La società contemporanea, influenzata da un’ideologia consumistica e individualistica, ha progressivamente adottato una visione dell’essere umano come un individuo autonomo, sovrano su sé stesso e sul mondo che lo circonda. Questa concezione ha portato a una frammentazione delle relazioni sociali, riducendo la famiglia a un’entità “liquida”, priva di obblighi reciproci duraturi. L’autonomia e la sovranità individuale sono state esaltate come traguardi da raggiungere, ma il costo di questa mentalità è stato altissimo: l’isolamento sociale, la crisi demografica e l’indebolimento dei legami comunitari sono solo alcune delle conseguenze.

Una delle prime azioni per risolvere questa crisi è un ripensamento della visione antropologica dominante. Invece di considerare l’essere umano come un’entità isolata, dobbiamo recuperare la concezione dell’uomo come “persona-cellula viva”. Questa metafora biologica sottolinea l’idea che l’individuo è parte integrante di un organismo più ampio, una rete di relazioni familiari, sociali e culturali che ne determinano l’identità e il benessere. La persona, in questa nuova visione, non è solo il centro della propria esistenza, ma un essere operante, attivamente impegnato nella costruzione del bene comune attraverso il suo ruolo nella famiglia, nella comunità e nel lavoro.

 Ripensare la Famiglia: Dalla “Famiglia Liquida” alla “Comunità Familiare”

Uno dei punti centrali di questa nuova visione antropologica è il ruolo della famiglia. Negli ultimi decenni, la concezione della famiglia è stata progressivamente indebolita, fino a essere vista come una semplice aggregazione di individui senza legami stabili o obblighi reciproci. La “famiglia liquida”, come è stata chiamata da alcuni sociologi, è diventata il simbolo di una cultura in cui i legami familiari sono temporanei e flessibili, soggetti alle esigenze personali e professionali dei singoli individui.

Ma la famiglia, in una visione antropologica rinnovata, non può essere ridotta a questo. Deve essere recuperata come “comunità familiare”, un luogo in cui si trasmettono valori, si costruiscono legami duraturi e si educano le nuove generazioni. La famiglia non è solo un’istituzione sociale, ma una comunità vitale, in cui i membri svolgono ruoli essenziali per il benessere di tutti. In questa nuova concezione, il potere educativo della famiglia è centrale: non può essere delegato completamente alle istituzioni esterne come la scuola o lo Stato. L’educazione dei figli deve essere vista come una responsabilità condivisa all’interno del nucleo familiare, che lavora in sinergia con la comunità.

La Crisi della Natalità: Un Sintomo di un Problema più Profondo

Uno degli effetti più evidenti della crisi della famiglia e della visione individualistica della persona è il drastico calo della natalità in Italia e in molti altri paesi occidentali. Le ragioni di questo fenomeno sono molteplici, ma una delle cause principali è la difficoltà delle famiglie moderne di conciliare le esigenze lavorative con quelle educative. In una società che esalta l’autonomia personale e la carriera professionale, avere figli è spesso percepito come un ostacolo alla realizzazione individuale.

Questa visione, tuttavia, è profondamente errata. I figli non sono un ostacolo, ma una risorsa per la società e per le famiglie stesse. La nuova visione antropologica che proponiamo, quella della persona-cellula viva, richiede un ripensamento radicale del ruolo della natalità nella società. Avere figli non deve essere visto come una scelta privata, ma come un contributo fondamentale al bene comune. La famiglia, intesa come comunità vitale, deve essere sostenuta da politiche che facilitano l’equilibrio tra lavoro e vita familiare, e che valorizzino il ruolo insostituibile della donna come madre e come educatrice.

La Cultura del Lavoro e la Dignità della Persona

In una società consumistica, la dignità della persona è spesso legata alla sua capacità di produrre e consumare. Questo modello ha portato all’emergere di un’ideologia del lavoro che vede l’individuo come una macchina produttiva, il cui valore è misurato esclusivamente in termini economici. Il lavoro è diventato il centro dell’esistenza umana, e la persona che non lavora è spesso considerata “inutile” o “non realizzata”.

Questa visione, oltre a essere disumanizzante, è anche insostenibile. In una società che valorizza la persona-cellula viva, il lavoro non può essere l’unico criterio di dignità. La dignità della persona deve essere riconosciuta in tutte le sue dimensioni: come lavoratore, ma anche come genitore, educatore, membro di una comunità. In questa prospettiva, la famiglia e la comunità diventano luoghi in cui la persona può realizzarsi pienamente, non solo attraverso il lavoro, ma anche attraverso la cura e l’educazione.

Il Ruolo della Scuola: Un Patto Educativo Globale per il Bene Comune

Il cambiamento della visione antropologica non può avvenire senza un profondo ripensamento del sistema educativo. La scuola, in molti casi, ha contribuito a perpetuare la visione individualistica e consumistica della persona, sottolineando l’importanza dell’autonomia e del successo personale a discapito della solidarietà e del bene comune. Per superare questa crisi, è necessario un nuovo “Patto Educativo Globale”, come proposto da Papa Francesco, che metta al centro la persona in tutte le sue dimensioni e promuova una cultura della vita, della comunità e della sostenibilità.

Questo patto educativo deve partire dal riconoscimento che l’educazione non è solo un processo di trasmissione di conoscenze, ma un atto culturale e sociale che plasma il modo in cui le persone vedono sé stesse e il mondo. L’educazione deve insegnare non solo le competenze tecniche necessarie per il lavoro, ma anche i valori fondamentali della vita comunitaria, della solidarietà e della cura reciproca. In questa nuova visione educativa, la scuola lavora in sinergia con la famiglia e la comunità, creando un ambiente in cui i giovani possono crescere come persone complete, non solo come futuri lavoratori.

Tecniche di Sviluppo Sostenibile: Dalla Meccanizzazione al Km Zero Sociale

Oltre alla riforma educativa, un cambiamento della visione antropologica richiede anche una riforma dei criteri di sviluppo economico. Il modello economico attuale, basato sulla meccanizzazione e sull’aumento della produttività a scapito delle relazioni sociali e della sostenibilità ambientale, è insostenibile a lungo termine. Per costruire una società più giusta e solidale, dobbiamo adottare tecniche di sviluppo che siano in linea con la visione della persona-cellula viva.

Un esempio di queste tecniche è il concetto di “Km Zero sociale”, che promuove la produzione e il consumo locale come mezzo per rafforzare le comunità e ridurre l’impatto ambientale. Analogamente, tecniche come il Just-In-Time (JIT) e la Gestione della qualità totale (TQM) possono essere applicate non solo in ambito economico, ma anche sociale, per migliorare l’efficienza e la sostenibilità dei processi produttivi e relazionali all’ interno della società.

La Sfida della Verità e l’Importanza della Consapevolezza

Infine, un cambiamento della visione antropologica richiede un impegno per la verità. Viviamo in un’epoca in cui la verità è spesso relativizzata o negata, e questo ha gravi conseguenze per la nostra capacità di affrontare i problemi sociali e culturali. Per costruire una società basata sul bene comune, dobbiamo acquisire la consapevolezza della realtà oggettiva: siamo tutti organismi vivi, interconnessi in una rete di relazioni che ci derivano non solo dalla nostra biologica, ma anche dal nostro ruolo nella famiglia, nella comunità e nella società. Riconoscere e valorizzare queste connessioni è fondamentale per promuovere uno sviluppo umano integrale, capace di rispondere alle sfide attuali con una visione più armonica e vitale della persona e del mondo in cui vive.

Rosapia Farese

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