Nelle intenzioni del Governo Meloni il cosiddetto “Paino Mattei per l’Africa” dovrebbe rappresentare un “modello di cooperazione non predatorio, in cui entrambi i partner devono poter crescere e migliorare”.
Per quel poco che è dato di sapere, prima che venga presentato in Parlamento, il Piano sarebbe legato all’approvvigionamento energetico.
“ L’Africa – ha detto la Presidente del Consiglio – è potenzialmente un enorme produttore di energia” e, vista la collocazione geografica, “(…) l’Italia può diventare l’hub di approvvigionamento energetico d’Europa…”
Anche se aleggia il sospetto che al centro del Piano vi sia , più che altro, la gestione delle migrazioni, è doveroso chiedersi come si concili il “ modello di cooperazione non predatorio ”, a cui ci si vorrebbe ispirare , con l’esigenza
dell’approvvigionamento energetico.
Nello stato embrionale del Piano non è possibile comprendere quale sia il modello di cooperazione a cui il Governo faccia riferimento. E’ possibile, però, affermare fin d’ora che un modello, come quello evocato dal Governo, è attuabile a condizione di rivedere i meccanismi della finanza internazionale, del commercio, dell’economia, la
fine del debito estero e una maggiore giustizia ambientale e sociale così da evitare che i flussi finanziari diretti verso i Paesi poveri e produttori di fonti energetiche siano minori di quelli che seguono il percorso inverso.
I meccanismi escogitati sono noti: la segretezza dei paradisi fiscali, evadere le tasse e attingere ai contributi pubblici, realizzare inutili progetti faraonici nei paesi poveri e scaricare il costo sul loro debito pubblico, mascherare i sussidi alle nostre imprese da cooperazione internazionale allo sviluppo, il pagamento del debito estero del paesi poveri del Sud del mondo e dei suoi interessi.
Il Segretariato Generale dell’ONU ha documentato che i paesi dell’Africa subsahariana trasferiscono ogni anno centinaia di miliardi di dollari per di rimborso dei rispettivi debiti originati e alimentati dall’importazione di armi, dallo sfruttamento delle loro risorse naturali, dall’acquisto dei nostri prodotti impedendo la concorrenza dei produttori locali. Poi ci sono gli investimenti esteri. E’ noto che i paesi poveri per attrarre gli investimenti devono assicurare alle imprese condizioni fiscali e di profitto estremamente favorevoli; si chiamano investimenti esteri allo “
sviluppo“ ma, in realtà, è una forma più sofisticata di “colonialismo“.
A ben vedere si tratta di investimenti – se tali possono essere chiamati quando trascurano i problemi ambientali e sociali causati alle popolazioni locali – che hanno lo scopo di assicurare l’acquisizione a basso costo delle materie prime necessarie alla nostra economia. Le tecniche escogitate per depredare il sud del mondo sono molteplici, complesse e sofisticate. Qui si è inteso solo enunciarne alcune per far emergere la filosofia di fondo che governa la cosiddetta cooperazione internazionale, preoccupata più di proteggere il saldo positivo dell’investimento in termini economici e finanziari piuttosto che lo sviluppo dei Paesi poveri, destinatari degli stessi investimenti.
Cambiare questo sistema predatorio si può, anzi si deve, ma a condizione che il nostro sistema economico e finanziario sia pre-disposto a condividerne gli effetti, in termini di minori profitti ma in cambio di maggiore giustizia.
Con queste premesse attendiamo la presentazione in Parlamento del cosiddetto Piano Mattei.
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