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Il pluralismo del voto cattolico e il discernimento – di Domenico Galbiati

Questo intervento segue l’articolo pubblicato ieri a firma dello stesso autore (CLICCA QUI)

Alla stagione dell’ unità politica dei cattolici è subentrata quella del pluralismo delle loro opzioni di voto. Le quali – a dispetto dei tanti appelli ad antiche, abusate e mal poste parole d’ordine come “centro” o “moderazione” – coprono l’intero arco parlamentare ed, anzi, volentieri, dall’una e dall’altra parte, non disdegnano di sostenere le posizioni estreme. Nel contempo – e lo attesta chiaramente la campagna elettorale in corso – i temi che più stanno a cuore alla stessa “comunità ecclesiale” sono totalmente assenti dall’argomentazione politica.

A destra vengono sì talvolta richiamati, ma a fior di labbra, se non addirittura in chiave strumentale alla propaganda ed al consenso, secondo una declinazione clerico-moderata, se non peggio. Peraltro, di fatto contraddetti e negati dalla cornice populista che li assorbe e li accosta, quasi potessero conviverci, con le intonazioni nazional-demagogiche o addirittura xenofobe, attorno a cui le due destre gareggiano a chi sia più sovranista.

Il cristianesimo non è assunto secondo la sua innata vocazione universale e solidale, ma, al contrario, derubricato a “religione civile” cui si chiede, in nome di un ipocrita moralismo perbenista, di benedire e concorrere a coprire e conservare strutture sociali, privilegi e poteri consolidati nel tempo. A sinistra, neppure vale la pena parlarne. E sì che il PD avrebbe dovuto avere, nella cultura cattolico democratica dei popolari, uno dei due polmoni con i quali respirare, sintonicamente, in una atmosfera di mediazione e conciliazione di alto profilo con l’altro versante, quello di lontana derivazione marxista, che pure convergeva nel presunto nuovo soggetto politico. Due culture che, invece – come non era difficile prevedere – hanno finito per elidersi l’un l’altra, cosicché non è affatto casuale che oggi il PD innalzi, come bandiera identitaria, la rivendicazione di un’altra stagione ispirata all’ individualismo dei cosiddetti “diritti civili”. Quell’accrocchio attorno a tematiche di stampo radicale assunto, in mancanza di meglio, una volta caduta l’impalcatura dell’antica ideologia, come porto franco di una sinistra smarrita, si sta via via imponendo come dato strutturale e permanente dell’identità del Partito Democratico. Il quale non si accorge di essere caduto in una spirale contraddittoria con i suoi stessi presupposti, in un sostanziale processo di eterogenesi dei fini.

Le due grandi tradizionali popolari che hanno animato la vita democratica di un’Italia rinata dall’abisso della guerra e che, nella loro nuda ed immediata aderenza al “popolo”, nulla avevano a che spartire, anzi erano antitetiche all’individualismo radicaleggiante, finiscono per essere insieme mallevadori di tale cultura. A conferma che la politica ha, in definitiva, una logica feroce e inappellabile: quando si prendono le mosse da fondamentali errati, la china diventa impossibile da risalire. In quanto al terzo incomodo, la soverchiante impronta di Carlo Calenda lo ha trasformato, in nome e per conto di una linea rigorosamente liberal-liberista, in una sorta – si potrebbe dire – di “polo confindustriale”, al quale le tematiche sociali e solidali riescono addirittura irritanti.

Insomma, i cattolici hanno vissuto e stanno vivendo due fasi separate e distinte, eppure congruenti, l’una e l’altra coerenti al rispettivo momento storico e meritevoli di essere esaminate in riferimento alle modalità secondo cui la prima ha ceduto il passo alla seconda. L’unità politica dei cattolici non è mai stata concepita come un presupposto cui attenersi in linea di principio e condizione necessaria per la loro significatività sul piano dell’ azione politica.

Sturzo, ponendo il tema della laicità dell’ impegno politico ed assumendo programmaticamente la bandiera della libertà, sapeva di dividere, piuttosto che unire, il campo cattolico. L’unità che ha contraddistinto, in gran parte, la stagione della prima repubblica, è piuttosto da considerarsi un dato per nulla ideologico, bensì storico e politico; il portato di una linea d’azione che ha ottenuto un largo consenso, in quanto ha saputo indicare agli italiani una prospettiva di sviluppo e di promozione sociale inclusiva e realmente, visibilmente orientata all’interesse generale del Paese. E, dunque, capace di unire, non solo i cattolici, ma la stessa comunità nazionale attorno alle scelte di campo dirimenti, sulle quali tuttora si regge il nostro impianto democratico.

Resta da dire che siamo in presenza di un pluralismo “grezzo” del voto cattolico, per cui si tratta di capire se e come lo si possa sottoporre ad un’opera di “discernimento”, che ne potrebbe addirittura valorizzare la funzione. (segue)

Domenico Galbiati

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