Si può dire che il PNRR – anche nella versione ampiamente modificata nel novembre 2023 – presenta la mancanza di una visione del Paese nel futuro. Appare più un programma di modernizzazione che di trasformazione strutturale. Indica specifiche necessità d’intervento, in molti casi opportune, ma non spiega come e perché l’Italia, grazie a incisive modernizzazioni, sarà in grado di raggiungere stabilmente una maggiore crescita economica, una maggiore inclusione sociale, una riduzione delle disuguaglianze. Sembra ispirato dalla fiducia che, nel nostro paese, fatte le riforme che mancano – e che l’UE ci chiede – le forze di mercato saranno le grandi protagoniste del cambiamento che serve. Desta perplessità l’idea che lo sforzo riformatore produrrà automaticamente un rilancio dello sviluppo economico e sociale.

Dico questo perché il PNRR non sembra affrontare a sufficienza alcuni grandi nodi economico-sociali dell’Italia: le disuguaglianze, specie di genere e generazionali, la povertà, la grande deriva demografica e non sembra offrire ai diciottenni e alle diciottenni del 2026, uno scenario particolarmente diverso da quello dei lavori precari, spesso sottopagati e con modesta copertura previdenziale, che prevalgono oggi. Il Piano appare poco attento alle strategie per affrontare (in una prospettiva più o meno lunga) la povertà e l’esclusione sociale anche di nuovi soggetti un tempo meno a rischio. La riduzione delle disuguaglianze generazionali, pur essendo uno dei suoi obiettivi trasversali, pare difficile da raggiungere senza incidere sulle norme vigenti sul mercato del lavoro, che hanno determinato livelli salariali estremamente modesti – rispetto a ciò che si è avuto nei paesi europei più prossimi al nostro  –  e un’esplosione di precarietà, d’incertezza sulle condizioni di vita; precarietà e incertezza che contribuiscono al calo della natalità e alla sensibile ripresa dell’emigrazione dei giovani italiani più qualificati.

Altro punto critico. Sebbene  le linee guida della Commissione Europea invitassero gli stati membri ad allocare le risorse dei piani in misura particolare ai territori in maggiori difficoltà, nel PNNR italiano mancano sistematicamente i criteri che devono ispirare l’allocazione territoriale delle risorse in ciascuna misura. È ben vero che il Piano indica il Mezzogiorno quale priorità trasversale (al pari della Parità di genere e dei Giovani) destinando, nel complesso delle varie misure, non meno del 40% al Mezzogiorno, ma l’approccio dirigistico statale adottato ha portato a che i progetti “cadano dall’alto”, non siano definiti all’interno di un processo di concertazione con le politiche regionali e locali per rispondere alle diverse esigenze dei contesti regionali e locali. Gli obiettivi da raggiungere sono sempre declinati come medie regionali; non sono mai presenti indicatori relativi ai livelli di sviluppo delle diverse aree, alla gravità dei problemi occupazionali locali o di dotazione territoriale di infrastrutture. Le risorse sono distribuite fra i vari progetti seguendo principalmente la procedura di risposta a bandi nazionali o regionali. Ciò avendo inquadrato, risulta poi evidente che, diversamente dall’impostazione della politica economica corrente del Governo Meloni, di tipo peronista (assistenza alle famiglie e alle imprese e marginalità e scarso rilievo al sostegno di un’azione di qualificazione delle attività produttive), il Piano è incentrato sul potenziamento e la qualificazione del lato dell’offerta, e in ciò è evidente l’impronta data del Governo Draghi (aprile 2021), non intaccata nelle linee di fondo dalla rimodulazione del novembre 2023. Infatti:

a) punto qualificante del PNNR italiano è il potenziamento delle infrastrutture, in particolare delle infrastrutture ferroviarie, ad alta velocità, ma anche altro, come il potenziamento dei nodi ferroviari metropolitani e il miglioramento delle ferrovie regionali a gestione RFI, inquadrato all’interno di un piano programmatico di più lungo periodo con scadenza 2036, che costituisce un’inversione di rotta rispetto alle modeste realizzazioni del decennio passato, con ricadute positive sullo sviluppo territoriale e sulla transizione verde;

b) meno rilevante – sotto l’aspetto delle risorse coinvolte, ma pur sempre significativo – è il rilancio di un grande intervento nelle città italiane, importante motore della crescita economica anche perché, normalmente, nelle città nascono e crescono le attività di servizio maggiormente innovative e a maggiore contenuto tecnologico, insediate a monte e a valle delle attività industriali. Il PNRR non disegna una vera e propria politica urbana; piuttosto cerca di sviluppare diverse linee d’intervento che offrono possibilità d’integrazione fra di loro e, poi, gli importi delle risorse veicolate su quest’azione sono davvero rilevanti e variegati in interventi fisici (come per la mitigazione delle carenze abitative, la riqualificazione urbana e del verde urbano, il miglioramento dell’accessibilità e della sicurezza, la mobilità ciclistica) e in interventi di carattere sociale: investimenti finalizzati a ridurre situazioni di emarginazione e degrado sociale e per migliorare i contesti sociali e ambientali, l’housing sociale temporaneo e di lunga durata, per l’edilizia scolastica e giudiziaria, per musei e biblioteche;

c) il PNRR italiano destina rilevanti risorse per il miglioramento del sistema nazionale dell’istruzione, nella forma soprattutto di investimenti in edilizia scolastica, compresi i nidi per gli infanti e le scuole per l’infanzia, per un ammontare di risorse quasi pari a quelle stanziate nell’ultimo cinquantennio. Però il Piano non fornisce alcun criterio per l’allocazione territoriale delle risorse assegnate a questa misura; non indica alcuna priorità, in quanto tutto è rimesso alla discrezionalità del Ministero dell’Istruzione, cui fa capo l’attuazione della misura stessa, che procederà attraverso bandi, il che richiede anche che gli enti locali abbiano le competenze tecniche per rispondere correttamente ai bandi. Assai meglio sarebbe stato che il Ministero avesse predisposto un disegno di sviluppo dell’edilizia scolastica, individuando aree e municipalità nelle quali realizzare gli interventi edilizi, anche attraverso forme di co-programmazione e co-progettazione con gli enti locali. Inoltre il PNRR fa riferimento a un grande piano di formazione dei cittadini al di là di quanto previsto per scuola e università. Nei centri per l’impiego sono previste ampie azioni di formazione e di riqualificazione dei lavoratori (o aspiranti tali). Sono previste ampie iniziative di formazione nei centri di facilitazione digitale e di certificazione dei sistemi duali di formazione. Ho già detto del grande investimento per la realizzazione di posti aggiuntivi nei nidi per infanti, prima esperienza di apprendimento e socializzazione per i più giovani e importante iniziativa per favorire la conciliazione lavoro-famiglia, creando condizioni più favorevoli per l’occupazione femminile;

d) anche gli interventi per l’università sono di espansione dopo i molti anni di continua flessione del finanziamento ordinario per gli atenei. Fra gli interventi in parola, relativamente nuova è la componente denominata “Dalla ricerca all’impresa”, che punta a rafforzare la ricerca favorendo la diffusione di modelli innovativi per le attività condotte in sinergia fra università, enti precipui di ricerca, imprese e altri soggetti pubblici o privati, sostenendo processi per l’innovazione e il trasferimento tecnologico nonché potenziando le infrastrutture di ricerca. È questa la cosiddetta “terza missione” degli atenei, ahimè sovente più orientata agli aspetti economici e finanziari degli atenei che all’impegno civico e sociale;

e) gli interventi indicati nei punti precedenti dovrebbero concorrere non poco a migliorare le possibilità di lavoro per i giovani e per le persone coinvolte nei fenomeni di ristrutturazione produttiva determinata dalle innovazioni nei processi produttivi. Lo stesso dovrebbe derivare dagli interventi di riqualificazione dei territori esposti a rischi idrogeologici, dal significativo miglioramento dei servizi di tutela della salute della popolazione, attraverso la riqualificazione del sistema ospedaliero e delle sue apparecchiature sanitarie, la costruzione di case di comunità nonché l’ampliamento delle spese correnti per il reclutamento di operatori qualificati per i diversi livelli di azione e assistenza alla tutela della salute;

f) significative sono le risorse che il PNNR attribuisce alle misure che mirano a influenzare qualitativamente e quantitativamente la struttura produttiva del nostro paese. Esse si sommano a risorse provenienti dai bilanci degli enti pubblici, quali gli stanziamenti della c.d. politica di coesione (“fondi strutturali”), nonché dal Programma nazionale “Ricerca, innovazione e competitività per la transizione verde e digitale” e diversi programmi operativi regionali. Il tutto non è però sufficiente perché si possa dire che il PNRR affronti i grandi nodi della collocazione dell’economia italiana – della sua agricoltura, della sua industria, dei suoi servizi – nel quadro internazionale dell’oggi e del domani – perché si possa avere il sentore di un modello di sviluppo incentrato su ricerca e innovazione, di un organico progetto di politiche industriali (dette anche politiche per la competitività delle imprese), assenti in Italia per lo meno dopo la fine delle “partecipazioni statali”.

Non è nemmeno chiaro se queste risorse devono essere indirizzate ad accompagnare le traiettorie di sviluppo delle imprese o a fornire loro anche linee d’indirizzo; alternativa che ha alla sua base l’alternativa fra l’approccio liberistico, che ha fiducia nelle capacità del sistema produttivo di evolvere positivamente grazie ai segnali di mercato, vedendo il ruolo dello Stato solo nel creare condizioni di ambiente favorevoli per lo svolgimento delle attività produttive, quali la presenza di avanzate ed efficaci attività di servizi e di finanziamento degli investimenti delle imprese, bandendo invece ogni tentativo di  programmazione pubblica dell’attività d’impresa o di esplicito aiuto dello Stato alle singole imprese. Con riferimento al PNRR, non è dato sapere poi se, durante il lavoro di redazione del Piano, vi siano state, e in che misura, informali consultazioni con portatori d’interessi di diversa natura.

Daniele Ciravegna

 

 

 

About Author