Gustavo Petro, sessantadue anni, di origini italiane, economista, già senatore e sindaco di Bogotá, ex guerrigliero del movimento M-19 pur senza aver partecipato alla lotta armata, fondatore del Pacto Histórico, è il nuovo Presidente della Repubblica di Colombia.
La Registraduría Nacional ha comunicato immediatamente il risultato elettorale: 50,5% di consensi in suo favore, contro il 47,3% di Rodolfo Hernández, suo competitore, imprenditore del cemento. Quest’ultimo, nonostante il ristretto margine di vantaggio dell’avversario (3,13 punti percentuali) ha riconosciuto subito la vittoria del nuovo Presidente, fugando ogni dubbio sull’eventuale contestazione del voto, ricorrente da quelle parti.
Con Petro si chiude un ciclo di 200 anni di governo della destra colombiana. Anche la Colombia, come il Venezuela, Perù, Bolivia, Chile e Argentina sarà governata da un leader di sinistra.
Nel suo Programa de Gobierno il tema della povertà è ben presente, senza nessun riferimento a ideologie socialiste o comuniste, tanto che, appena eletto Petro ha dichiarato: «vamos a desarrolar el capitalismo en Colombia, no porque lo adiremo, sino porque tenemos que superar la premodernidad en Colombia, el feudalismo».
Il neo Presidente, dunque, pur consapevole delle distorsioni del capitalismo, non ne propugna il superamento quanto piuttosto la sua radicale riforma. In che senso?
Non contesta il diritto di proprietà, rifiuta l’uso politico dell’espropriazione e propone l’adozione di diffuse politiche di rigenerazione del modello capitalistico, nella prospettiva ecologista e ambientalista di tipo europeo. Consapevole della esasperata applicazione delle regole del mercato e dei danni causati al clima e all’eco-sistema, si fa promotore di un vasto processo di riforma orientato alla transizione energetica, con l’abbandono graduale del fossile e delle attività estrattive esasperate, puntando sul sole, il vento, l’acqua.
Non ci sono due crisi separate per Petro, una ambientale e un’altra sociale, ma una sola e complessa crisi socio-ambientale. Per questo serve un approccio integrale, per combattere la povertà e nello stesso tempo salvaguardare l’ambiente, la natura. Sembra di leggere le raccomandazioni contenute nell’Enciclica sulla cura della casa comune di Papa Francesco che, però, nel caso della Colombia, entrano a fare parte di un concreto programma di governo, capace d’incidere sui tradizionali processi economico-produttivi e politici.
Consapevole della dimensione globale del proprio progetto “rivoluzionario” il neopresidente invoca la cooperazione interamericana, il raccordo con l’UE, gli Stati Uniti, la Cina. Ignora totalmente la Russia di Putin.
Sotto il motto: Colombia Potencia Mundial de la Vida, propone tre obiettivi fondamentali: 1 la pacificazione del Paese, gravemente lacerato negli ultimi trenta anni da fenomeni di guerriglia e dalla formazione di Comitati armati di autodifesa; 2 la giustizia sociale; 3 la giustizia ambientale.
Dedica una particolare attenzione a ogni tipo di diversità: di genere, dell’infanzia, della gioventù, degli anziani, dei gruppi religiosi, etnici, indigeni, ipotizzando una democracia multicolor, ove i diritti collettivi sono affermati e propugnati a complemento dei diritti individuali.
Arte e cultura sono il “fundamento de la felicidad”, si legge nel suo programma di 54 pagine.
Un visionario populista? Il populismo, che conosciamo da un po’ di tempo anche in Italia, è una costante in America latina. Moisés Naím al riguardo, sul quotidiano la Repubblica del 21 giugno ha già pronosticato il fallimento della nuova Amministrazione colombiana, anche a causa dell’esasperato riconoscimento di troppi pluralismi.
In verità, la crisi economica globale, l’inflazione mondiale non aiutano la battaglia contro le povertà, che avrebbe bisogno invece di poteri forti, come insegnano Cina e Russia. Tuttavia, il vasto programma di riforme orientato alla tutela del pluralismo e alla transizione energetica, in quanto democratico e realista, è senza alternative. Petro fin dalle prime mosse ha fatto ben intendere di non avere nessuna intenzione di prendere di petto le oligarchie dominanti e i contropoteri che pur vanno riformati. Semmai intende costruire con essi il nuovo modello economico, nel quadro di un fitto dialogo interno e internazionale. In questo senso, l’approccio totalmente deideologizzato rispetto alle dottrine del secolo scorso, ne fa un autentico realista.
Per tutto questo, il processo “rivoluzionario” colombiano merita rispettosa attenzione perchè, pur se apparentemente “populista”, appare munito di concreto realismo politico. Soprattutto è senza alternative, come del resto per noi europei.
Guido Guidi