Le elezioni europee sono importanti. Lo è altrettanto la loro intersezione con il quadro politico dei singoli paesi e questo è particolarmente vero per l’Italia. Se non si tiene in debita considerazione lo snodo tra i due livelli si rischiano inopportuni rinculi che sarebbe meglio evitare. Ed è così, a maggior ragione, per le forze politiche che – a cominciare da Forza Italia – hanno fin qui sostenuto, con il PPE cui aderiscono, la tradizionale alleanza con il gruppo parlamentare socialista a Strasburgo e qui da noi governano con la destra di Salvini e della Meloni.
E’ sempre vero che i voti si contano e mai si pesano? No, non è sempre vero. Soprattutto ai più alti livelli istituzionali non ci si può sempre e comunque orientare alla massimizzazione del profitto elettorale secondo la regola del puro e semplice incremento numerico della rappresentanza. L’aritmetica non esaurisce in sé il valore della politica per quanto quest’ultima non prescinda dal dato quantitativo del consenso.
Non è né facile né indolore trovare il punto di equilibrio tra questi due versanti, eppure bisogna provarci, a meno di rinunciare a priori all’ attestazione dei valori cui ci si richiama, per ricadere in una logica di mero potere. Per altro verso, se si “ideologizza” la propria identità si sacrifica quel momento di elasticità cui affidare le pur necessarie mediazioni. Ora, è possibile separare nettamente livello europeo e piano nazionale delle alleanze? Oppure ci sono tra questi due momenti rimandi e condizionamenti reciproci che non possono essere ignorati, dal momento che, ad ogni modo, esplicano un effetto che sta, di fatto, nell’ ordine delle cose?
Intanto, un elettore mediamente informato che abbia la ventura di seguire l’ intreccio quotidiano delle dichiarazioni dei vari leader che, dal PPE fino alle destre più o meno estreme, accompagnano le ultime settimane della campagna elettorale, dovrebbe sentirsi confuso e scoraggiato. Soprattutto, constaterebbe come questo gioco dei quattro e più cantoni – in cui le “signore” della politica europea si destreggiano con un ardimento che non aggiunge nulla, anzi, allo standard di qualità che alla politica offrono i maschietti – sia dominato da tatticismi incrociati che nascondono o rendono irriconoscibile, se mai vi fosse, una qualunque strategia commisurata ai reali problemi dell’ Europa e degli europei.
La destra cerca di rifarsi il trucco prendendo le distanze dai neo-nazisti di AfD. La Meloni ancora si fa beffe di Salvini e lo lascia, un’altra volta, solo, con il cerino acceso in mano. Gli soffia il rapporto con Marine, che dev’essersi pur fatta una sua opinione sul Capitano e veleggia tra questa ed Ursula, quasi pontiere tra le due, senonché la seconda non vuol saperne della prima. Così il mite Tajani che un po’ ci sta ed un po’ no. Insomma, una arlecchinata tra destre ungheresi e polacche, italiane, spagnole e francesi, compreso chi, come Zemour, di Europa non ne vuol sapere proprio. Come la Meloni d’antan, del resto.
Destra dalle quali farebbero bene a tenersi alla larga i popolari di Weber che, nell’intervista di ieri l’altro al Corriere, ascrive il proprio partito, tout court, al centro-destra e sembra promuovere la Meloni al quiz pro-Europa, pro-Ucraina, pro-Stato di diritto. Non credano i popolari, né pensino di far credere che sia possibile allargare le basi democratiche del processo di unità europea ricorrendo a queste destre. E ci pensino due volte prima di sdoganare la Meloni, in qualche misura asseverando, di riflesso, la postura nazional-sovranista di cui fa sfoggio nel nostro Paese. E soprattutto una concezione dell’ordinamento istituzionale di stampo populista, incentrata su quel “premierato” che punta ad alterare profondamente gli equilibri costituzionali di un Paese fondatore dell’Unione.
I valori cristiano-sociali che pure Weber rivendica, nulla hanno a che vedere con destre che – quale più, quale meno – alludono ad orientamenti para-fascisti, che a tali valori sono, al di là di ogni vantata apparenza, addirittura antitetici.
Domenico Galbiati