Che i Fratelli d’Italia non aspettassero altro era ovvio. E che i leghisti fossero della partita non c’era da dubitarlo.
Ma che i centristi “liberali” di Forza Italia, liberali e democratici, cristiani e popolari, come amano definirsi, si siano iscritti – fin dal programma di governo, peraltro – alla partita del “premierato”, in fondo, non era da considerare di per sé scontato.
La riforma della Costituzione – a prescindere dai contenuti proposti – è un tema di tale rilievo da non poter essere supinamente piegata alle ragioni di una maggioranza politica, di qualunque colore essa sia. La quale è, per sua natura contingente, durasse pure l’ intero quinquennio della legislatura. E dunque, poco o nulla ha a che vedere con quell’impianto della legge fondamentale dello Stato che, per forza di cose, vive di una proiezione temporale di ben più vasta portata.
Ogni forza politica dovrebbe affrontare un tale passaggio vantando la propria originaria cultura politica, rispettando la propria storia, a costo di prescindere dalla particolarità del momento e dalle convenienze di potere connesse.
In effetti, anche i “soldatini” di Forza Italia, di fatto infeudati alla destra, “allineati e coperti” marciano compatti verso l’alba dorata della Terza Repubblica. Ce l’ ha ricordato, con toni assertivi e convinti, anche in questi ultimi giorni, Antonio Tajani che guida, almeno per ora, ciò che resta dell’ armata che scese orgogliosamente in campo con Silvio Berlusconi.