È l’Italia e solo l’Italia. La sua vicenda civile e democratica, con una storia che idealmente non le appartiene, intessuta, nel secondo dopoguerra, da classi dirigenti che hanno fugato i fantasmi del fascismo e che i “padri” del suo pensiero politico hanno fieramente contrastato. È questa Italia l’unica vera forza che Giorgia Meloni può esibire in Europa.
E il prestigio di un Paese che sta nel cuore del processo di unificazione europea fin dai suoi primi vagiti, diciamo pure di una “nazione” culla ed espressione di culture senza le quali, dall’eredità del mondo classico, al cristianesimo, al Rinascimento, l’Europa neppure esisterebbe. È questo valore storico oggettivo, che nulla ha a che vedere con l’ imperiale “grandeur” di cartapesta del ventennio, che, sempre non sbagli un’altra volta il passo, consentirà a Giorgia Meloni di ottenere un Commissario – forse due? – nella nuova compagine guidata, ancora una volta, da Ursula von der Leyen.
Anche in Europa – come nel Conclave – può succedere che vi si entri da Papa e si finisca per uscirne da Cardinale.
La Meloni paga lo scotto della sostanziale dilettantesca imprudenza, da “parvenu” sulla scena internazionale, con cui si è atteggiata come colei che avrebbe plasmato il Continente ad immagine della destra, che riteneva di riassumere nella sua persona, di rappresentare e guidare verso i fasti di un’Europa di fatto negata, retrocessa, tutt’al più, a “confederazione” di nazioni.
Di tutto ciò le resta poco o nulla. I nodi sono giunti al pettine forse prima di quanto si aspettasse.
Il bacio di Biden, il G7, il giro del mondo e delle accoglienti capitali, il cosiddetto Piano Mattei, l’incuriosita attenzione della stampa estera, gli osanna servili di gran parte di quella nostrana. Forse lei stessa – sindrome da rimbalzo dell’under-dog ? – è rimasta sorpresa, meravigliata e colpita dal vigore con cui, ad esempio, ha arringato quel popolo di Vox che ora la abbandona per il gattopardesco Orban.
Non è il suo caso, eppure bisogna starci attenti. Sono molti i casi della storia in cui il frenetico applauso delle folle oceaniche ha mandato letteralmente in “tiit” l’autostima del capo, il culto del proprio “io” immenso, che, per questa via, è scivolato in una drammatica palude di errori.
Ora a Giorgia Meloni non resta che votare per Ursula. Impensabile che faccia altrimenti e sacrifichi l’Italia che ha la responsabilità di governare, alle ombre ed ai disegni di una destra che fa a pugni con la storia.
Ciò che, a questo punto, importa è che il voto che accosti l’Italia alla maggioranza politica che si è formata nel Parlamento europeo, sia vissuto dalla stessa Meloni non come un ripiego, ma quale doveroso omaggio e giusta rivendicazione di ruolo per un Paese che, sia pure secondo un percorso di cultura politica difforme dalla sua, concorre da decenni alla costruzione della prospettiva europea.
Augurandoci che popolari, socialisti e liberali, per quanto aggiuntivo, accolgano il concorso dell’ Italia con il rispetto che merita.
Domenico Galbiati