Nel pensiero di Nicolò Machiavelli il primato della politica non stava a significare “famo come ce pare!”. Né possiamo considerarlo un principio che giustificasse comportamenti autarchici e quasi dispotici, cioè gestione della cosa pubblica ad libitum, senza un minimo rispetto delle regole.

Il problema oggidì sembrerebbe porsi in un’alternativa: dimissioni o no? Diciamo subito – come lo scrivo nel mio “saggio” In-out – che il tema è sempre stato scottante e grave, “mai serio” … per dirla alla Flaiano. Tant’è che la legislazione, sia costituzionale, sia parlamentare “ordinaria”, ci lascia in uno spiacevole e strano limbo. O meglio, con un vulnus, dicasi vuoto normativo tipico delle ambiguità italiche. In particolare, va sottolineato che la legge 400 dell’88 disciplina organicamente la Presidenza del Consiglio e gli organi del Consiglio dei ministri, “opportunamente” omettendo di attribuire al Presidente del consiglio (art. 5) il potere di dimissionare un ministro o un sottosegretario in caso di indegnità, incompatibilità o inconferibilità. Questo, invece, andrebbe legiferato con una certa urgenza.

Domanda: perché i nostri beneamati politici non vanno un tantino a scuola di diritto? In merito al “caso Boccia” (l’ennesimo imbarazzante) il/la Presidente Giorgia sta scagionando in ogni modo il “ministrello”, in quanto dal medesimo rassicurata a proposito del rispetto della riservatezza da parte della “consulente fantasma” e dell’assenza di spese a carico dello Stato. E staremo a vedere. Poi è seguita la scivolata con l’ordine perentorio: “chiarisci in tv”. Ma come? Il Parlamento viene, così, sempre più esautorato, di giorno in giorno, dalle proprie prerogative e competenze di sindacato ispettivo sull’attività di governo! E ci troviamo di fatto in un sistema che non è affatto “parlamentocratico”, e che sta spostando il centro del potere sul solo Esecutivo. Ma nessuno scende in piazza a manifestare per questo scippo antidemocratico.

Eticamente la problematica inerente il rispetto della legalità, del “buon andamento” amministrativo e della trasparenza dell’azione di governo dovrebbe interessare maggiormente, o meglio, assolutamente, l’elettorato conservatore e liberale che ha sempre votato in modo anticomunista per l’ordine pubblico e per la certezza del diritto. E non posso credere che un tal Giorgio Almirante, né tanto meno Tatarella o Tremaglia, sarebbero mai scesi a certi livelli di compromesso con la morale perdendo qualsiasi parametro di senso dello Stato e di responsabilità istituzionale. Decisamente da escludere!

Allora c’è da chiedersi: cosa ci rimane di quanto viene tramandato da Platone a Cicerone; la res publica è ancora la “casa comune” cui si riferisce, di tanto in tanto, Papa Francesco? E con quale faccia, se si va avanti in questa maniera, gli insegnanti si adopereranno per istruire gli studenti di grado inferiore o medio sulle nozioni elementari del diritto e dell’ordinamento italiano?

Occorre, finalmente, che si rifletta – oltre che sullo stile (“chiedo scusa a mia moglie e a Giorgia”!) – sulla necessità che la politica faccia un passo indietro rispetto ad un’arroganza/ignoranza che si alternano facilmente, dando prova di serietà in ordine al solenne giuramento fatto davanti al Presidente della Repubblica di essere al “servizio esclusivo della nazione”. Tanto più per il fatto che si tratta di governanti “sovranisti”, cioè super nazionalisti.

A tal punto non ci resta che sperare in una svolta morale per cui ognuno si assuma le proprie responsabilità fino in fondo. Altrimenti, in ultima analisi, “pregare san Sergio” che, come al solito, ci metta una pezza … come suol dirsi a Roma.

Michele Marino

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