Nel suo ultimo intervento – citando con eccessiva cortesia anche qualche mio recente spunto di riflessione al riguardo – Giancarlo Infante richiama con lucidità e precisione i motivi per i quali i popolari non possono superare l’invalicabile confine a “destra”. Tale confine ha sempre resistito nel corso della lunga e spesso travagliata storia politica dei popolari, anche quando essi si contrapponevano duramente al fronte comunista.
Ha ceduto dalla metà degli anni novanta, quando parte dei Popolari scelse Berlusconi. Fu – da parte loro – un doppio errore. Cedettero ad una idea senza anima valoriale del “centro” e finirono in una alleanza che rivendicava con orgoglio proprio la rimozione del confine a destra (lo sdoganamento dei fascisti, come ha detto recentemente Berlusconi). Sappiamo come è poi finita l’avventura. E sappiamo anche come è finita l’esperienza dei popolari in Europa, da quando il PPE ha allargato a dismisura i propri confini a destra, fino a rendere minoritaria, nella sostanza, la propria radice cristiano-democratica.
Dunque, il confine a destra rimane a maggior ragione oggi come un paletto essenziale per la definizione di una prospettiva possibile dei “popolari veri”.
È, il nostro, un tempo strano e contraddittorio, nel quale segnali di speranza si mescolano a nuovi rischi e insidie inedite.
Rischi e insidie per la nostra idea di democrazia e di società non stanno solo a destra, naturalmente – poiché riguardano processi di radicale e generale mutamento di tutti gli scenari – ma trovano nella destra il loro luogo esponenziale e naturale di concentrazione.
Detto ciò, mi pare che ribadire il principio di “autonomia” rispetto a tutto ciò che destra non è rappresenti un necessario punto di partenza per sviluppare una posizione politica riconoscibile e visibile. Una posizione che, appunto, “esiste in quanto tale” e non in quanto “alleata” con altri.
Nella storia politica dei popolari, peraltro, questo principio della “autonomia” è sempre stato interpretato non come isolamento o come presunzione di autosufficienza. Per i popolari, la contesa politica non è finalizzata alla conquista del potere, ma al servizio del bene comune. E questa responsabilità coinvolge tutte le persone e le forze di buona volontà.
Il concorso plurale dei “diversi” che si riconoscono in una visione convergente di democrazia, libertà e giustizia sociale – a livello nazionale, europeo e globale – ha sempre rappresentato la cifra della politica dei popolari e dei democratici cristiani, in primis attraverso la dottrina di Alcide Degasperi in tema di cultura coalizionale.
In un tempo di divisioni e di frammentazioni come il nostro, mi pare che questa cifra debba essere ancor più la nostra bussola.
Lorenzo Dellai
Immagine utilizzata: Shuttershock