Da anni, ogni qual volta gli italiani sono chiamati al voto – si tratti di eleggere i sindaci oppure i parlamentari – si alzano, da ogni dove, pianti e lamenti per una democrazia che impallidisce e langue, abbandonata al suo destino, ad una sorta di fatale entropia che ne sfarina le ragioni, non più riconosciute dai tanti, troppi elettori che disertano le urne.

Dopo di che, prontamente dismesse le gramaglie del lutto per tale rovinosa deriva, la festa riprende, come sempre, uguale a sé stessa.
Festeggiano comunque i principali attori politici della vicenda, senza avvertire come il trono – vale per tutti, maggioranza ed opposizione – da cui immaginano di dominare la scena o comunque avervi parte, si vada trasformando in uno sgabello, via via, ad ogni calo di partecipazione al voto, piu’ traballante.

Il Paese è attraversato da questa faglia divisiva e profonda tra chi resiste ed ancora vota e chi non lo fa più , taluni ancora con rabbia e sofferenza, altri con indifferenza totale, quasi con un sentimento di liberazione da un impiccio. Il che mette a rischio e delegittima, se non altro depotenziandone la portata, il valore della rappresentanza delle istituzioni democratiche, minando, anzitutto, la centralità del Parlamento.

C’è chi, con ogni probabilità ed ovviamente senza dichiararlo, ne gode perché immagina che sia, in sé, lo sviluppo spontaneo di tale crisi ad asseverare – quasi senza colpo ferire – la propria presunzione diretta ad accrescere, in spregio al Parlamento, senza discettare di pesi e contrappesi, il primato – quanto piu’ possibile nudo e crudo – del potere esecutivo.

Stupisce come, per contro, vi sia, su altro fronte, chi continui a non comprendere come qui stia li vero “momento” di una battaglia politica che credevamo combattuta una volta per tutte ed invece va ancora ribadita per salvaguardare l’impianto costituzionale del nostro ordinamento democratico.

Il punto, in primo luogo, addirittura non è chi, tra destra e sinistra, porti a casa il risultato, ma, piuttosto, come si fa a rimettere in partita gli italiani. Non stupisce, dunque, che – come osserva e lamenta “Avvenire”, autorevole voce dei Vescovi italiani – vi sia un referendum, non a caso, “silenziato”. Quello promosso dal “Comitato Referendario per la Rappresentanza” contro il Rosatellum, diretto, anzitutto, ad abrogarne gli aspetti peggiori: il “voto congiunto” tra collegio uninominale e listino proporzionale e le “pluricandidature”. C’è da sperare che qualcosa cambi?

Per ora i comproprietari del “saloon” della politica italiana hanno, concordemente, esposto un cartello: “Non sparate sul pianista”…..e che la musica continui.

Domenico Galbiati

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