L’ unico, vero “voto utile” è quello effettivamente libero che l’elettore esprime entro un ventaglio di opzioni che, per quanto contenute, almeno non lo catturino forzosamente nella camicia di forza del bipolarismo maggioritario. Laddove si esprime un consenso in cui, a quelli di appartenenza ideologica, si sommano voti di opinione e, dulcis in fundo, altri che potremmo definire “a dispetto”, attribuiti ad una delle due parti solo per impedire il successo elettorale di quella avversa.
Tutto sommato non c’è da sorprendersi che siano così numerosi coloro che rifiutano di recarsi alle urne. Ad un ventaglio ampio di orientamenti culturali, tipici di un contesto plurale, corrisponde un’ offerta politica artefatta, anchilosata e costretta dentro schieramenti che si definiscono soprattutto in funzione di una contrapposizione più tattica e funzionale al consenso che non realmente strategica.
Il confronto si svolge in un clima, ad un tempo, esasperato e grigio che non dà respiro ad una rappresentanza che riproduca, nelle sedi istituzionali, traducendole sul piano della proposta politica, la molteplicità delle visioni che pur attraversano una comunità articolata come la nostra. Non a caso – sta succedendo anche in Lombardia – quanto più si avvicina l’ appuntamento con le urne, tanto più cresce l’appello al cosiddetto “voto utile”, inteso come fuoco di interdizione, una sorta di contraerea diretta ad intercettare il “nemico”.
Sia la destra che la sinistra pensano evidentemente che argomentare le loro proposte, sollecitare l’adesione critica al loro progetto, promuovere un consenso convinto ed attivo, sia meno appagante che non l’ ostracismo verso il dirimpettaio. Si tratta di un gioco a somma zero che assume, come necessario presupposto, una considerazione infelice della maturità civile e politica dei rispettivi elettori che, anziché essere invitati a concorrere al discorso pubblico, vengono, in un certo senso, aizzati contro l’altra parte, di cui, a questo punto necessariamente, si deve dare un’immagine almeno caricaturale, se non peggio.
Insomma, l’arma segreta che gli uni e gli altri pensano di sfoderare nel “rush” conclusivo della campagna elettorale è la delegittimazione della controparte, l’invettiva piuttosto che il confronto. E’ evidente come ci si ponga su una china scivolosa che porta verso una sordità reciproca che incarta il confronto politico e lo allontana dal piano di una effettiva aderenza alla realtà sociale del Paese.
L’ impegno dei nostri candidati, impegnati in Lombardia a sostegno della candidatura di Letizia Moratti, va esattamente in senso contrario a questa spirale involutiva. La quale, peraltro, trova la sua ragion d’ essere nella convenienza tra le due parti, reciproca, sottaciuta, ma sostanzialmente alimentata di comune intesa, finalizzata a circoscrivere il campo alla loro diretta contesa, cercando di escludere ogni altro possibile interlocutore.
Succede, d’altra parte, che questa coartazione artificiosa del confronto politico-programmatico non sia, appunto, in grado di rappresentare quelle linee di frattura che, secondo vari ordini di effettiva rilevanza tematica, attraversano il corpo sociale e sono incomprimibili, cosicché, in mancanza d’altro, si scaricano, pur di appalesarsi, all’interno della composizione articolata di ciascuno dei due poli. Rendendoli, a loro volta, più frastagliati di quanto non appaia, talvolta tormentati, spesso attraversati da una sottile rivalità interna, pronta a cogliere l’ occasione utile a marcare un dissenso. E concorrendo, in tal modo, anche da parte di quelle che vorrebbero essere le colonne portanti del confronto democratico, a rendere di fatto precario il complessivo equilibrio del nostro sistema politico-istituzionale.
In definitiva, a sinistra ed a destra, concordemente, l’appello al “voto utile” rappresenta il tentativo di ricondurre, di fatto, alla logica bipolare e maggioritaria, il quadro politico anche quando un più ampio ventaglio di proposte ne propone il superamento.
Domenico Galbiati