La figura di S. Francesco nel canto XI del Paradiso, come pure nella realtà storica, ruota attorno ad un’apparente contraddizione: la povertà, la morte, la sconfitta sono esaltate come valori positivi, mentre il senso comune è propenso a rifiutarle e a fuggire.
La scelta di farsi poveri non è soltanto un mezzo per solidarizzare con i fratelli ed aiutarli (pensiamo alla prima comunità cristiana, i cui membri vendevano i propri beni e utilizzavano il ricavato secondo le necessità di ciascuno), ma è anche- forse principalmente- un modo per imitare Gesù che fu povero ed identificarsi misticamente con lui, adottandone lo stile di vita.
Per Dante, Francesco è soprattutto lo sposo della Povertà, amata teneramente come una donna: Pauperculus , sposo di “Madonna povertà”.
Per Francesco “tutto serafico in ardore” di carità i suoi frati devono essere “un popolo semplice” e testimoniare con atti di amore di gioia e con la povertà più che convincere con la parola e la polemica.
D’altra parte una testimonianza coeva ce lo descrive “capace, dinanzi a uditori più spiritualmente preparati e colti, di pronunziare parole piene di vita e profonde aiutandosi con gesti e movimenti di fuoco”.
La vicenda umana del poverello d’Assisi, la storia dell’ordine che da lui prese il nome, la straordinaria fioritura di arte legata alle fabbriche francescane e la eccezionale popolarità missionaria di questa famiglia religiosa, sono temi che continuano ad affascinare i cristiani e non..
Francesco d’Assisi proclama nel nome di Cristo messaggi di pace universale, di rispetto e di armonia della natura, di solidarietà e di fratellanza che oggi vengono recepiti come preziosi valori da tutti gli uomini di buona volontà, al di là di ogni credo religioso.
Francesco “per la sete del martiro/ nella presenza del Sodan superba” parte per l’Oriente con dodici frati, nel 1219, al tempo della quinta crociata, per convertire i Musulmani alla fede in Cristo. Rientra in quest’ottica l’aver costituito una provincia d’Oltremare, o di Promissione (Siriae ultramarinae Terrae Sanctae sive Promissionis), affidandola a uno dei seguaci più brillanti, così come il recarvisi di persona. Una missione che esprime la volontà di Francesco e dell’Ordine di portare, in pace e fratellanza come insegna Gesù, il credo cristiano a tutti i popoli, al di là delle ostilità. Il viaggio porta all’incontro col sultano d’Egitto; e ciò suscita allora enorme impressione, essendo scontata per i Cristiani europei la contrapposizione netta, senza speranza, verso gli “infedeli”. Dato il susseguirsi di guerre “sante”, cristiane e musulmane, specie volte al possesso dei luoghi santi, il gesto profetico di Francesco indica nuovi modi di entrare in relazione.
Il gesto d’amore di Francesco coinvolge in qualche modo l’interlocutore: il sultano al-Malik al-Kamil. Il quale certo non si converte, ma è proprio lui, pochi anni dopo, a interloquire civilmente con Federico II: condottiero dell’unica crociata risolta per vie diplomatiche, eppur coronata da concessioni importanti, tra cui Betlemme e Gerusalemme. A dimostrazione che il dialogo in buona fede, con chi è parimenti ben intenzionato, appiana i contrasti. Infatti, il sultano rende la città priva di difese, ottenendo per i Musulmani il possesso dei propri luoghi santi e il diritto d’accesso all’intero perimetro. Una pace decennale, quella stipulata nel 1229 da due sovrani lungimiranti, che è un esempio storico di come si possano gestire rapporti conflittuali nell’interesse comune. Se si contrappongono realtà politiche e sociali diverse, serve prima che si riconoscano, per poi valorizzare un patrimonio culturale e spirituale condiviso; e giungere alla reciproca accettazione.
Un tale rispetto Dante lo rivela riprendendo la tradizione della grande nobiltà d’animo attribuita al Saladino. Egli aveva sconfitto a Qoru Hattin, nel 1187, l’esercito cristiano ed espugnato Gerusalemme, ma Dante ne colloca l’anima non battezzata- solo in disparte- nel “nobile castello” (Inf. IV, v.106) illuminato, con Virgilio e altri “spiriti magni” (v.119).
Le fonti francescane posteriori, orientate all’esaltazione del santo, e nello spirito dei futuri rapporti che intercorrono tra i Frati Minori e la Terra Santa, sono unanimi nel far seguire all’incontro con il sultano un pellegrinaggio di Francesco ai luoghi santi, facilitato per lui e i suoi frati da un lasciapassare del sultano: “Il sultano…lo invitò con insistenza a prolungare la sua permanenza nella sua terra, e diede ordine che lui e tutti i frati potessero recarsi al sepolcro di Cristo, senza pagare nessun tributo”.
Nel 1934 in Egitto, a Damietta, luogo in cui S. Francesco si era presentato al sultano, Louis Massignon -teologo e orientalista francese- fonda la “Badaliyya”; termine arabo che significa “sostituzione”, mettersi al posto di un altro. Aggiornando l’esempio di Francesco, anch’egli indica la strada più degna, davvero religiosa, per i rapporti tra le fedi: il confrontarsi con empatia e spirito di collaborazione.
Oggi, Papa Francesco con l’enciclica sociale “Fratelli tutti” ci esorta a promuovere il percorso del dialogo, votato alla coesistenza, nel rispetto della vita umana e dei valori dei rispettivi credi.
Un’aspirazione mondiale alla fraternità e all’amicizia sociale, nello spirito del Documento sulla fratellanza umana firmato da Papa Francesco e dal Grande Imam di Al-Azhar nel febbraio 2019 e di quel lontano incontro fra Francesco con il sultano al-Malik al-Kamil. Principe guerriero di ampie vedute e permeato dal sentimento religioso, il Saladino in punto di morte, allorché si congedò dal figlio el-Malek al-Zaler, sultano di Aleppo, gli disse: “Io ti raccomando a tutta la potenza di Dio, fonte di tutti i benefici. Fai la volontà di Dio che ti addita la via della pace. Provvedi a non versare inutilmente il tuo sangue, poiché il sangue versato non si assopisce mai più.”
Nino Giordano