Man mano che passano i mesi, l’attenzione dell’osservatore dovrebbe concentrarsi più che sulle brutte figure di alcuni ministri o esponenti della maggioranza incapaci di governare la propria bocca (o forse la mente?) e le polemiche che ne sono derivate, sulla capacità del governo di affrontare i problemi principali del paese, ma anche su quella dell’opposizione di criticarlo per le sue insufficienze e, se possibile, incalzarlo con proposte più valide.
Non c’è bisogno di dire che questo governo, come quelli degli anni passati, si trova di fronte a grandi problemi nel campo della sanità, dell’istruzione, del sostegno alle famiglie con figli, della diseguale pressione fiscale, delle basse retribuzioni; e tutti questi problemi, anche perché acuiti dal ritorno dell’inflazione, richiederebbero risorse maggiori. Ma come ben sappiamo, se non vogliamo vivere nel mondo dei sogni, l’assegnazione di nuove risorse si scontra con le strettoie della finanza pubblica, già di per sé vincolanti per il peso del debito nazionale, e ancor più ora per
l’aumento dei tassi di interesse che aggravano ulteriormente quel peso. Per non parlare poi della fine del periodo di sospensione post-Covid dei vincoli del Patto europeo di stabilità e crescita.
Far quadrare il cerchio è allora difficile se si vuole continuare a tenere un profilo finanziario responsabile che consenta all’Italia di stare in Europa non come osservato speciale ma come partner positivo delle grandi scelte che incombono per la UE. Per fortuna la leader di questo governo (nonostante una qualche confusione nei ranghi della sua maggioranza) ha sinora deciso di seguire questa strada europea. Bisogna quindi trarne tutte le conseguenze.
Occorre subito dire che la risposta a questi dilemmi non è facile e di questo dovrebbero avere piena coscienza prima di tutto l’esecutivo, ma anche l’opposizione se si vuole presentare come una alternativa seria di governo. Come diceva un precedente ministro delle finanze (Padoan) che aveva alle sue spalle anche una buona esperienza internazionale, si deve percorrere un “sentiero stretto”; uscire dal sentiero a destra o a sinistra rischia di produrre capitomboli pericolosi. Il sentiero stretto richiede certamente scelte “quantitative” (quanto e dove spendere), ma proprio
perché queste sono piuttosto limitate le scelte “qualitative” diventano ancora più importanti.
Innanzitutto c’è naturalmente da allargare il più possibile il sentiero stretto. Questo vuol dire sostenere la crescita in corso del paese e spingerla ulteriormente perché solo così le risorse necessarie si accrescono. L’andamento relativamente positivo dell’economia nel primo trimestre 2023 e il clima di fiducia delle imprese e delle famiglie (dati Istat) nei primi mesi dell’anno confortano, ma perché non restino effimeri devono essere accompagnati da misure di politica economica e regolatoria tali da consolidarli senza perdersi dietro a piccole promesse elettorali fatte in tutt’altra prospettiva. Questo porta direttamente all’aspetto qualitativo dell’azione di governo e della spesa pubblica. Come sa ogni “buon padre/madre di famiglia” quando i margini sono limitati diventano prioritarie la allocazione selettiva delle risorse e la qualità della spesa. Su questo piano c’è molto da fare.
In linea di massima, in ragione del deficit infrastrutturale italiano, si dovrebbe privilegiare la spesa per investimenti rispetto a quella corrente e per consumi. Le cose non sono però così semplici e in realtà su entrambi i piani gli aspetti qualitativi contano. Se pensiamo agli investimenti è facile notare che non tutti gli investimenti sono ugualmente produttivi: la storia italiana è piena di inutili cattedrali nel deserto (generate per esempio in occasione di olimpiadi o simili eventi), o di infrastrutture concepite e progettate qualche decennio prima della loro (parziale) realizzazione e
dunque invecchiate prima di nascere (l’autostrada Siracusa-Gela iniziata nel 1983 e tuttora incompleta ?!).
La tempistica degli investimenti oltre alla loro selezione è quindi essenziale. Se poi guardiamo alla spesa corrente, tipicamente per il personale, anche qui sono necessari approfondimenti e qualificazioni. Se si guardano i numeri della pubblica amministrazione italiana (al 5,5% italiano in percentuale sulla popolazione fanno riscontro l’8,3% della Francia e il 6% della Germania) il deficit attuale (che le prospettive future di pensionamenti accresceranno)
richiederebbero significativi aumenti numerici.
Con le poche risorse disponibili è chiaro che non si potrà fare molto; diventa cruciale allora innalzare il livello qualitativo dei nuovi reclutamenti, dando spazio ai giovani capaci di innovazione, ricompensando chi si assume responsabilità, accrescendo la formazione continua del personale. In questo modo la spesa corrente invece di
essere un peso si può trasformare in spesa di investimento che si rifletterà positivamente sulla produttività del paese.
Tutto questo che può sembrare ovvio non lo è invece se guardiamo a tante storie passate di spesa sia a livello micro che macro. E allora che cosa ci vuole? …non le soluzioni taumaturgiche alle quali si è rivolta ricorrentemente la politica degli ultimi decenni, come i cambiamenti del sistema elettorale o magari oggi il sistema presidenziale invocato da questo governo sperando di trovare la bacchetta magica.
Ci vuole piuttosto quella che potremmo definire una “disciplina intelligente e lungimirante” della classe politica. Questa disciplina che si basa sul riconoscimento dei vincoli posti dal “sentiero stretto” e insieme su una visione del paese, deve partire dalla testa e quindi dal governo. Spetta ovviamente al capo del governo aver chiara la strada e indicarla con fermezza ai ministri e alla sua maggioranza. Ma per realizzare questa disciplina intelligente occorrono
strumenti capaci di tenere sotto controllo i processi decisionali e di esecuzione.
L’organizzazione della Presidenza del consiglio deve essere ripensata per questa funzione, ma deve essere affiancata sul piano parlamentare da una rivitalizzazione e riorganizzazione dei gruppi parlamentari perché questi possano sentirsi coinvolti attivamente in questa strategia. E, certo, se l’opposizione e le grandi organizzazioni sociali avessero le idee chiare sulla strategia da seguire (per quanto diversa da quella del governo) la dialettica politica potrebbe dare il suo contributo a non cadere fuori dal sentiero stretto.
Maurizio Cotta