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Il sistema multipolare  e l’industria italiana –  di Roberto Pertile

Negli ultimi decenni la crescita  economica nel mondo ha favorito tassi elevati, coinvolgendo anche i paesi più poveri. Certamente, i suoi effetti hanno positivamente e  significativamente inciso sugli equilibri geopolitici internazionali ,  ma sono stati anche condizionati da reazioni collaterali negative da parte dei vari Paesi.

È  un fatto che sia stata determinante, in campo economico a livello internazionale , la globalizzazione del capitale, del lavoro e delle tecnologie, e, più recentemente , anche dei servizi, rappresentando una interessante novità.

L’effetto principale di questo processo è stato, soprattutto dopo il crollo del muro di Berlino, la supremazia mondiale  del modello neo-liberista statunitense , malgrado alcuni  effetti negativi sul piano sociale come un aumento delle disuguaglianze sociali nel mondo. Infatti, grazie alla globalizzazione è avvenuta una consistente crescita del mercato mondiale  che, volutamente lasciato a se stesso , non ha prodotto giustizia sociale; anzi, ha favorito il contrario.

I punti di crisi sono ormai evidenti in tutto lo scenario internazionale, compreso il polo Usa-EU, che rimane il maggiore aggregato economico e sociale.

Le reazioni negative hanno coinvolto anche la società italiana. A questo proposito, meritano attenzione  le proteste portate avanti dai sindacati, per il fatto che, per l’industria italiana , la globalizzazione ha sovente significato un impiego di capitale italiano all’estero con l’ utilizzo di manodopera straniera; è stata favorita l’ importazione di prodotti finanziati con il risparmio italiano , investito fuori dei confini nazionali.

Da questa delocalizzazione , presente anche negli altri Paesi europei, deriva  un processo internazionale  di sviluppo di “supply chains”( catene di offerta),per effetto del quale, per ogni bene o  servizio immesso sul mercato, viene prodotto un singolo componente in un paese , un altro in un altro e così via. Alla fine avviene l’assemblaggio dei vari componenti, producendo il prodotto finale: l’automobile, il televisore, il PC etc. Questo processo è fondamentale per capire i mutamenti  strutturali avvenuti nell’apparato produttivo mondiale. Si è creata, cioè, una rete di operatori, uno dipendente dall’altro, così che lo stop in un punto della rete blocca tutta la catena, almeno a livello continentale. Si sono formati mercati strettamente interconnessi che danno nuova energia alla globalizzazione, perché giova  a tutti i soggetti, compresi i paesi emergenti, l’intensificarsi degli scambi commerciali a livello internazionale.

Tuttavia, come già detto, la globalizzazione comporta anche effetti negativi; ad esempio, l’ ingiusta distribuzione del reddito tra capitale e lavoro; una riduzione della domanda di lavoro non specializzato, in quanto sostituito dalla tecnologia dell’intelligenza artificiale. Inoltre, la globalizzazione ha consentito un risparmio di ore di lavoro con la conseguente diminuzione dei salari e la perdita dei posti di lavoro, anche nei paesi più sviluppati; infine, come già visto, il basso costo del lavoro dei paesi poveri ha favorito la delocalizzazione degli stabilimenti di produzione a danno della retribuzione del lavoratore del Paesi più industrializzati.

In risposta alle attese deluse di una globalizzazione meno dipendente dagli interessi protetti dal neo-liberismo imperante , Paesi come l’India, il Brasile , il Sud Africa e l’Arabia Saudita hanno reagito avvicinandosi alla Cina , vera antagonista del primato statunitense. L’obiettivo di questi paesi è la realizzazione di un sistema multipolare , dove i  soggetti possono usufruire di maggiore libertà, mettendo in discussione la leadership statunitense.

In questo contesto multipolare, è utile un esame del polo USA-UE , che occupa ancora una posizione primaria nel contesto mondiale ed è fonte di benessere e di libertà.

La prima considerazione riguarda la volontà statunitense, presente dalla fine della guerra ai nostri giorni, di pensare un’ Europa a sua immagine, per effetto della centralità economica e politica degli Usa.

Questo intento politico statunitense si scontra con il processo di emancipazione portato avanti dai Paesi europei, evidenziando i limiti e le difficoltà del progetto Usa. Prima di tutto , c’è  lo scontro tra Usa e Germania. Infatti, quest’ultima considera gli Stati Uniti un leader in ritirata e punta ,nei fatti, alla costruzione di un’Europa tedesca, non più vincolata al 100% agli Usa.

Questo disegno non è ovviamente condiviso dagli Usa che vedono, invece, con favore un’integrazione europea che porti a rafforzare i legami di dipendenza dell’euro dal dollaro. È un reale conflitto di interessi  ,che danneggia l’unità politica di tutti i paesi europei, con il rafforzamento del progetto di un ‘Europa tedesca( Kerneuropa: Germania, Paesi Baltici, Danimarca, Austria, Italia del Nord ), che consentirebbe alla Germania di perseguire ,con più libertà di ora, i propri interessi . Per gli Stati Uniti  un’eventualità di questo genere è inaccettabile, come anche un’ UE indipendente. Inoltre, per gli Usa è la Germania l’alleato che non si può perdere.

Il tema dei rapporti Usa e UE  ha acquistato particolare importanza con il crescere dell’integrazione della Cina nei circuiti economici internazionali e per effetto delle reazioni di India, Brasile , Sud-Africa ed Arabia alla volontà statunitense di essere il dominus della globalizzazione e della rete produttiva conseguente. Questi Paesi sono sempre più propensi a realizzare  assetti economici e valutari che riducano sensibilmente il dominio statunitense.

Questo scenario multipolare, dunque, non può non accentuare le tensioni geopolitiche tra Usa e UE. Tensioni che vanno assorbite dando valore alla natura pluralistica dell’ordine  internazionale democratico: la superiorità statunitense va vista nella attuazione del principio della pluralità, che favorisce una ridistribuzione dei ruoli. Ciò significa una pacifica transizione della leadership Usa da un ordine monocratico ad uno multipolare, dando spazio a riforme strutturali del sistema economico internazionale, iniziando dalla riforma della finanziarizzazione dell’economia mondiale. La guida delle riforme dovrebbe essere l’armonia degli interessi e non il conflitto degli stessi.

La prospettiva è di lavorare per un nuovo ordine internazionale multipolare, dove le ragioni della produttività e quelle della solidarietà si coniugano insieme, al fine che i benefici della globalizzazione siano per molti e non per una minoranza, come è attualmente.

L’Italia può svolgere un importante ruolo nel favorire il rafforzamento delle strutture politiche e sociali  dell’ area europea meridionale e del bacino mediterraneo. Può dare un contributo significativo per il superamento della contrapposizione tra la libertà di mercato e la  solidarietà sociale.

Per cui, il futuro dell‘Europa e dell’ordine internazionale  è condizionato dalle scelte tedesche. In questi anni , la Germania ha esercitato , di fatto su larga scala, il diritto di veto; infatti ,non sono state prese decisioni a livello UE senza l’assenso tedesco. Quindi, l’interrogativo è : una Germania europea in un’Europa tedesca? il progetto a due velocità “Kerneuropa” quanto è  compatibile con l’armonizzazione degli interessi dei paesi europei?

In questo contesto , quale è l’interesse dell’industria italiana? La risposta non può non tenere conto che l’Italia: 1) non siede al tavolo internazionale di chi conta e decide; 2) presenta un significativo  divario economico e sociale nei riguardi dei paesi leader. Per cui, non può che operare per l’affermarsi di un  sistema commerciale multipolare che si sta delineando, nella convinzione che un maggiore commercio internazionale giova” comunque” al sistema produttivo italiano. Sistema che non può non essere  aperto alla competitività ed essere capace di muoversi con successo nella attuale ridefinizione delle catene del valore, di cui in  premessa. Questa  ridefinizione produrrà una nuova diversificazione delle fonti di fornitura dei beni e dei servizi dall’estero, e  consentirà una risposta alla concorrenza del lavoro dei Paesi extra UE, dando priorità ad una politica strutturale di educazione e formazione ,nonché di sostegno reddituale dei lavoratori, grazie ad un rinnovato dinamismo economico. Per l’economia industriale italiana vale la regola di base che il dinamismo della produzione è strettamente collegato al dinamismo tecnologico, cioè alla produzione di nuove conoscenze tecniche e scientifiche. Da qui discende la necessità immediata  di una adeguata politica governativa nel campo della R&S.

Roberto Pertile

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