Questo intervento segue la prima parte pubblicata lo scorso 20 febbraio (CLICCA QUI)
La cosiddetta “diaspora” dei cattolici può essere anche fatta risalire ad una difficoltà presentatasi in un determinato momento storico in cui emerse in maniera pressante la mancanza di capacità d’ascolto di una società sempre più divisa. Un ascolto che, invece, personaggi come Aldo Moro avevano costantemente esercitato nei passaggi più cruciali affrontati nel corso dell’oltre quarantennio in cui la Democrazia cristiana era stata capace d’impostare una mediazione, dinamica ed evolutiva, del complesso turbinio economico, sociale e culturale di un’Italia entrata nel pieno di una fase di modernizzazione ed avvicinamento agli standard mondiali più evoluti ed avanzati.
Giovanni Paolo II scrisse il 6 gennaio 1994 ai vescovi italiani: “Si sono così udite delle voci secondo le quali, nella nuova stagione politica, una forza di ispirazione cristiana avrebbe cessato di essere necessaria. Si tratta però di una valutazione errata, perché la presenza dei laici cristiani nella vita sociale e politica non solo è stata importante per opporsi alle varie forme di totalitarismo, a cominciare da quello comunista, ma è ancora necessaria per esprimere sul piano sociale e politico la tradizione e la cultura cristiana della società italiana” (Per una lettura integrale CLICCA QUI).
Eppure, in molti “errarono”. Ci furono quelli che credettero in una creativa “dispersione” in mille rivoli che ha poi avuto il risultato di farci parlare di irrilevanza. Proprio quando, invece, il Paese si ritrovava, come oggi, nel bisogno di una più forte impronta solidale, popolare ed inclusiva. Le forze d’ispirazione cristiana si moltiplicarono e, persino, si contrapposero. Mancò così, ancora di più, un’organica ed esaustiva capacità d’ascolto del corpo sociale perché si preferì ascoltare altre voci. Interne e straniere. Si smarrì il senso del primo elemento, quello fondante, di un operare, insieme antico e moderno, dinamico, realistico e costruttivo basato su di un “pensiero forte”.
Non c’è bisogno di un “leader”, bensì di una diffusa pratica di presenza politica organizzata che ha, più che mai oggi, tante occasioni per diventare palese, condivisa e partecipata. E’ questo cui tutti i popolari di buona volontà possono partecipare per costituire un punto di partenza dal quale sia possibile riprendere le mosse per partecipare alla creazione di quell’area “centrale”, che non coincide con la visione di un “centro” statico, e spesso solo figura strumentale, bensì di un baricentro che è tale in quanto ha la capacità di richiamare l’attenzione sui problemi reali e concreti degli italiani.
E quali sono questi problemi? Sul piano politico istituzionale, quello insomma che definisce la cornice del quadro complessivo in cui si sviluppano le dinamiche fondamentali del Paese, non si può che indicare la necessità di superare la logica del “bipolarismo”. Quella che riduce la politica ad una distorcente è diseducativa logica di schieramento. Oggi compressa e ridotta ad un inadeguato “leaderismo” del tutto contrario all’evoluzione di un reale spirito democratico come quello che portò alla nascita e allo sviluppo dell’Italia democratica e antifascista.
Superare il bipolarismo è del resto parte di un processo da riprendere per l’attuazione piena della Costituzione nel contrasto di ogni sua modifica diretta a snaturare la natura parlamentare della Repubblica e della sua Unità nazionale.
Il popolarismo si rigenera con un forte impegno alternativo alle proposte presentate dall’attuale maggioranza sul Premierato e sull’Autonomia differenziata. Ed appare davvero illusorio, e persino dannoso, prestarsi all’ascolto di ipotesi che tendono a presentare l’idea di una emendabilità della proposta Meloni.
Anche in cooperazione con rappresentanti di altre culture politiche, i popolari devono continuare ad impegnarsi per vedere il varo di una nuova legge elettorale proporzionale il cui primo obiettivo dev’essere quello di ridare voce a tutte le forze vive della società, finora impossibilitate a trovare una propria autonoma rappresentanza. E a restituire agli elettori la piena sovranità nella scelta dei propri rappresentanti, per superare il distacco tra gli eletti e gli elettori e ridare credibilità alla politica. L’eliminazione delle tanto criticate preferenze ci hanno dato un Parlamento fatto di nominati e senza per questo evitare i cambiamenti di casacca assolutamente sconosciuti, invece, nella stagione dei partiti forti e organizzati nel territorio. E neppure ha eliminato la corruzione.
Oggi, un disegno politico organico popolare, e necessario per andare oltre la diaspora, non può che avviarsi con un ampio e profondo impegno diretto a porre al centro dell’azione politica alcuni temi cruciali.
A partire da quelli richiamati dai conflitti dei giorni nostri i quali richiedono l’impegno di politici operatori di pace, forti dello spirito e della sostanza della Costituzione che obbliga a non risolvere i conflitti affidandosi alla sola logica delle armi.
L’Europa può svolgere oggi un ruolo cruciale in questa direzione. Più forte sarà al proprio interno e più si mostrerà capace di svolgere una funzione nel mondo. Ecco perché i popolari, distanziandosi dalle politiche del liberismo finanziario degli ultimi decenni, dovranno perseguire un sviluppo basato su più solidarietà e più inclusività. L’impegno, a partire dalle prossime elezioni di giugno, dovrà essere diretto ad accelerare il percorso verso un’Europa con una fiscalità organica e la definizione di una difesa comune il cui principale obiettivo dev’essere quello della pavimentazione della via della pace. Così come sarà necessario giungere ad una revisione dei Trattati in grado di dare all’Europa un’univoca e inconfondibile voce sul piano internazionale.
Tante altre sono le questioni su cui il popolarismo europeo è italiano devono avere la forza di mettere in gioco la propria autonoma specificità. Sin da quando siamo nati questi temi sono stati approfonditi e chiariti e, pertanto, rimando al nostro lavoro. Ricordo per titoli la Sanità e la Scuola che devono ritrovare quella identità universalistica che ha consentito di raggiungere ragguardevoli livelli di welfare e di offrire una valida formazione ai giovani anche grazie alla quale l’Italia è diventata una delle principali potenze industriali del mondo.
Il Lavoro, tutto il mondo del lavoro e delle imprese, cui dev’essere restituita la dignità perduta. Le vie non mancano. Dalla partecipazione dei lavoratori agli organi aziendali e agli utili dell’impresa, al salario minimo; dalla costruzione di un mercato del lavoro qualificato alle politiche attive per colmare le attuali diffuse carenze professionali. Deve essere sicuramente ripensato un intervento pubblico nel sistema produttivo, a partire dalla definizione di un piano delle priorità d’interesse nazionale e il rafforzamento della collaborazione tra pubblico e privato e, in questa direzione possono rivelarsi cruciali nuovi ed originali accordi tra Università-Centri di ricerca/Istituti di ricerca-Imprese.
In un altro intervento, oggi, affrontiamo il tema delle politiche di coesione (CLICCA QUI) e di tutti i limiti che storicamente l’Italia, con tutta la sua struttura pubblica, mostra nonostante siano cresciute le disparità sociali e geografiche. Quelle che riguardano il Mezzogiorno, ma anche altre proprie persino delle regioni più ricche ed avanzate del Nord. E allora, è necessario che una nuova classe dirigente riveda anche la spesa pubblica e meglio utilizzi le ingenti risorse che comunque sono disponibili. A partire da quelle del PNRR e che, invece, sono ancora avvolte da una nebbia impenetrabile.
Del resto, non basta il poco fino ad oggi destinate al sostegno alle famiglie, alle donne e ai giovani verso cui sono indirizzate molte dichiarazioni di principio mentre, in realtà, manca un effettivo contrasto alla precarietà del lavoro, alla pratica dell’utilizzo di contratti discriminatori e talvolta umilianti e alla disparità retributiva a danno delle donne e dei giovani. Mancano anche gli asili e altri ausili per madri e padri lavoratori per seguire la crescita dei figli. Così come una politica abitativa e fiscale in grado di aiutare soprattutto le giovani coppie destinate a subire le più gravi conseguenze delle turbolenze finanziarie, della mancanza o l’aumento dei costi dell’accesso al credito, oltre che dell’assenza di un vero e proprio “piano casa” di cui italiane e italiani di reddito medio-basso hanno bisogno.
Ecco perché la diaspora si supera impegnandosi per una fiscalità progressiva e contro l’evasione grazie alla quale vengono a mancare le risorse necessarie al processo di trasformazione e di sviluppo del Paese, oltre che contribuire alla distorsione del mercato e favorire chi meno se lo merita, a danno di imprenditori validi e innovativi.
E il tutto richiama l’originalità e specificità del pensiero popolare sulla centralità del valore della Persona di ogni azione politica. E’ cosa che va al di là delle visioni “ideologiche” che negli ultimi anni hanno finito per contaminare, e persino per svilire, il valore della stessa Vita e servite solamente alla creazione di un muro contro muro da parte di culture diverse.
Alla Persona va anche il riferimento per ciò che riguarda i fenomeni, e le relative complesse problematiche, dell’immigrazione. Nella consapevolezza che è necessario conciliare un’accoglienza rispettosa della dignità umana, e non “carceraria” degli immigrati irregolari, con la creazione di canali legali di immigrazione (in collaborazione con gli Stati di provenienza), anche per sopperire ai bisogni del mercato del lavoro italiano. In questo senso, sottolineano come siano da considerarsi fondamentali adeguati servizi di istruzione per una migliore integrazione degli immigrati nel tessuto sociale italiano, oltre che di formazione al lavoro. Un autentico processo di integrazione deve partire dal riconoscimento della cittadinanza per i figli di immigratiti nati in Italia e che abbiano frequentato le scuole nel nostro Paese.
Un lungo elenco si dirà. Ma per chi crede nella trasformazione della politica e del Paese non sono ammessi sconti e meno che mai l’accontentarsi di fare da ruota di scorta di qualcun altro.
Giancarlo Infante