L’approvazione della bozza della Direttiva sulle case “green” da parte del Parlamento europeo e la bozza di relazione predisposta dalla commissione Bilancio della Camera sugli esiti del Superbonus 110% sono due eventi che possono aiutare a comprendere le prospettive future dell’edilizia abitativa in Italia. La proposta di Direttiva europea, che dovrebbe essere pubblicata subito dopo la ratifica da parte del Consiglio europeo Ecofin del 12 aprile p.v., propone l’obiettivo di azzerare le emissioni CO2 del patrimonio abitativo europeo entro il 2050 a valle di un percorso che prevede la riduzione del 16% di quelle in atto entro il 2030 e del 20% entro il 2035. Il 55% del risultato dovrà essere ottenuto con il rinnovamento complessivo degli edifici abitativi. Il contributo per la parte rimanente dovrebbe essere offerto dalla sostituzione degli infissi, degli impianti e di altre componenti che possono concorrere al risultato. Per le caldaie e gli impianti di riscaldamento viene vietato l’utilizzo di combustibili fossili per le nuove installazioni a partire dal 2026 e la definitiva sostituzione entro il 2040. Entro due anni dalla data di pubblicazione, gli Stati aderenti dovranno predisporre un piano attuativo finalizzato al raggiungimento degli obiettivi.
Rispetto alla prima bozza, il testo approvato allunga i tempi per il raggiungimento degli obiettivi, rinuncia a imporre a tutti i Paesi aderenti l’adozione di una certificazione energetica unica per le abitazioni, allarga le deroghe per gli edifici storici o che sono sottoposti a vincoli, alle seconde case poco abitate e alle piccole abitazioni. L’impatto per l’Italia di queste misure, in particolare sugli edifici più energivori al netto delle deroghe, potrebbe comportare la ristrutturazione di circa 5 milioni di abitazioni.
L’intervento ha consentito l’adeguamento ecologico e sismico di circa 480 mila abitazioni con un impatto positivo di poco superiore al 30% del valore aggiunto del settore dell’edilizia, ma inferiore alla spesa aggiuntiva posta a carico del bilancio dello Stato. Il rendimento del capitale pubblico investito risulta inferiore a quello delle vecchie agevolazioni che prevedevano un concorso alla spesa da parte dei committenti privati. Secondo alcune stime fornite dalla Banca d’Italia, circa la metà di queste ristrutturazioni sarebbero state comunque realizzate con l’utilizzo delle detrazioni in vigore fino al 2020. L’importo maggiore dei costi messi a carico dello Stato dovrà essere ammortizzato nella contabilità pubblica nei prossimi 5 anni con effetti negativi sul debito la mancanza di disponibilità finanziarie da destinare ad altre priorità.
Come da consuetudine, l’introduzione di nuovi vincoli/obiettivi da parte delle Istituzioni europee non viene accompagnata da scelte economiche finalizzate a rendere sostenibili i costi degli investimenti da parte dei paesi aderenti. Per lo scopo viene genericamente richiamato l’utilizzo dei fondi europei che hanno già un destinazione e che, al netto dei fondi Next Generation Eu, rappresentano una partita di giro tra i contributi versati e restituiti dall’Ue ai singoli Stati. Le conseguenze devono essere inquadrate nel complesso dei costi della transizione ambientale e digitale che l’ex Presidente della Bce, mario draghi, incaricato dalla Commissione Ue di redigere un rapporto sulla competitività dell’economia, ritiene superiori ai 500 miliardi di euro anno.
Per l’Italia gli obiettivi e i costi della transizione ambientale devono essere ponderati tenendo conto delle caratteristiche demografiche, morfologiche e storiche del nostro territorio. Le attuali politiche economiche tendono a privilegiare gli obiettivi astratti e la concentrazione delle opportunità economiche e della mobilità delle persone verso le aree intensamente popolate. Per la storia del nostro Paese questa deriva, già visibile in molti ambiti economici e sociali, rischia di comportare effetti catastrofici sulla valorizzazione del patrimonio e sulla distribuzione del reddito.
Natale Forlani
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