“Centralità della persona”, d’ accordo! Ma cosa significa esattamente? E’ la domanda che Letizia Moratti, a San Patrignano (CLICCA QUI), ha posto nella sua replica conclusiva: come la si ottiene, come può essere costruita, al di là della perorazione retorica che sempre la accompagna, con quali politiche? Esiste un ordine di priorità, un modello di sviluppo, a monte c’è una lettura appropriata del momento storico che attraversiamo, perché ci si possa avvicinare, sia pure progressivamente, ad un tale paradigma?
Troppe parole, troppe locuzioni sono diventate “gergo” della politica, cioé espressioni esanimi ed inespressive, scontate e pallide, prive di nerbo perché non riconducibili ad una concreta esperienza di ciò che enunciano.
Parole che funzionano solo all’ interno del clan degli addetti ai lavori; bandierine dirette a contrassegnare i territori di una politica assimilata ad un “risiko”.
La “centralità della persona” va riscattata da questo limbo, dal momento che, se bene intesa, sembra avere i caratteri strutturali necessari a governare la stagione della complessità. Il modello di sviluppo che oggi ci sovrasta è bene espresso dall’ assunzione che il PIL, in quanto misura econometrica, possa bastare di per sé a dar conto del “momento” e delle sue possibili evoluzioni. Il profitto ed il mercato, le risorse ed i consumi, gli indici di produttività, i criteri di efficienza, la misura degli scambi commerciali, la capacità di competere sui mercati globali rappresentano le fondamentali chiavi di lettura del mondo e della vita.
Nessuno nega che siano parametri essenziali per orientare gli indirizzi che una collettività deve darsi. Ma sono sufficienti ? In effetti, la realtà – ogni cosa reale, un semplice oggetto, a maggior ragione un fenomeno sociale complesso – è sempre plurale e polimorfa, né può, quindi, essere esaurita osservandola da un solo versante. Se ne otterrebbe, anzi, di fatto, ne ottiene una visione parziale, unilaterale che finisce per alterare lo stesso oggetto posto alla nostra attenzione. Perché, dunque, non affiancare al PIL un altro sistema di misurazione dell’ evoluzione, del progresso o meno cui va incontro il contesto civile, nello sviluppo della sua vicenda storica, sul piano del “valore umano” che lo contrassegna?
Un apparato di misura strutturato ed organico, non lasciato ad occasionali rilevazioni sociologiche, condotte spesso a compartimenti stagni per settare questo o quell’ ambito del mondo in cui viviamo. Lo si potrebbe chiamare “IVU”, cioé “Indice del Valore Umano”, diretto a misurare, secondo parametri il più possibile oggettivi e stabili nel tempo, l’ incremento o piuttosto il vulnus cui va incontro il patrimonio rappresentato da quei valori spirituali, culturali ed educativi, cognitivi e mentali che hanno a che vedere con quell’orizzonte di senso della vita che non si esaurisce nella disponibilità di beni materiali.
Ma, piuttosto, ha a che vedere con la dimensione interiore – e, dunque, anche con la maturità civile – della persona come soggetto di relazioni, aperta a sentimenti di reciprocità solidale, piuttosto che arroccata sulla difensiva. In una società libera e plurale, articolata e multiforme, lontana da ogni concezione che configuri una sorta di “pedagogia nazionale”, la quale, a sua volta, alluda a qualche tentazione da “Stato etico”, che priorità attribuiamo – e con quali politiche, con quali strumenti – allo sviluppo di ambiti in cui la persona “cresca”? Al superamento della povertà educativa e culturale delle generazioni più giovani, al riassorbimento dell’abbandono scolastico. All’offerta di cultura, intesa come opportunità di consumo di beni qualificati, ma soprattutto come disponibilità di luoghi ed occasioni di produzione culturale in proprio, di connessione critica tra linguaggio tecnico e scienze umane. Cosicché ogni persona maturi consapevolezza di sé e del valore che ontologicamente le appartiene, capacità critica ed autonomia di giudizio, cioè attitudine alla libertà.
Leggere la sovrapposizione e la reciprocità, le convergenze e le dissonanze tra PIL ed IVU, così come evolvono nel tempo, ci darebbe una misura più autentica del mondo in cui viviamo. Potrebbe rappresentare, intanto, un primo elemento di “centralità”, almeno una cornice che assuma la persona come effettivo riferimento da cui non si possa prescindere e fattore di validazione delle politiche che assumiamo.
Domenico Galbiati