Due giorni fa mi sono sottoposto alla vaccinazione anti-covid con una fiala di Sputnik V, prodotto dal Centro Gameleya di Mosca, nonostante il vaccino non sia vidimato da Ema e Aifa. Per un europeista come me non è stata una scelta facile. Ho potuto farlo quale docente presso l’Università di San Marino. Avrei potuto assumere anche Astrazeneca grazie a un incarico presso l’Università di Urbino, ma ho preferito Sputnik.
Dopo 48 ore dalla somministrazione, gli effetti collaterali sono stati, grazie a Dio, pari a zero e questo è di buon auspicio.
Confesso di essere stato molto combattuto, ma, le dichiarazioni di Angela Merkel di qualche giorno fa hanno fugato ogni mio dubbio. Merkel su Sputnik ha detto: «Sono dell’opinione che dovremmo usare qualsiasi vaccino approvato dall’Ema». Ma, ha aggiunto, «se gli ordini non si faranno a livello europeo, allora seguiremo la via tedesca». Il presidente Draghi ha condiviso saggiamente questa linea.
Dopo Merkel e Draghi, tutti i dubbi sull’efficacia e le possibili controindicazioni legate a Sputnik sono, per me, letteralmente cadute. Era evidente che i ritardi e i dubbi non erano tanto di carattere scientifico o medico-sanitario, quanto politico. Erano causati dal fatto che le relazioni politiche ed economiche dell’Occidente con la Russia di Putin sono, a dire poco, difficili.
A somministrazione vaccinale avvenuta l’ulteriore convincimento della bontà della scelta fatta è venuta anche da un’altra dichiarazione, stupefacente, di Boris Johnons che, davanti a un’assemblea di parlamentari del suo partito, ha detto: «Le ragioni per cui abbiamo il successo del vaccino è grazie al capitalismo e grazie all’avidità, amici miei».
Tutto è molto più chiaro. Dietro al successo o all’insuccesso di un vaccino e delle campagne vaccinali, oltre ad esserci la politica (geopolitica), c’è anche l’economia. Nessuno aveva avuto fin’ora, a quel livello di responsabilità, il coraggio di collegare le dinamiche del capitalismo con il suo aspetto più deteriore: l’avidità.
La massa di utili che le multinazionali del farmaco, americane o euroamericane, vanno accumulando, e pronosticano di accumulare in futuro, è un argomento che condiziona ogni scelta sulla produzione e la distribuzione dei vaccini nello spazio globale.
Qui si spalanca la questione cruciale della crisi dell’Occidente. Ma siamo proprio sicuri che l’occidente sia tutto e solo questo? Siamo sicuri che l’identità dell’occidente si debba sintetizzare nel capitalismo, liberismo economico, avidità di guadagni, avidità nazionaliste, competizione esasperata e preclusione nei confronti dei mondi esterni?
Martin Heideggger interrogandosi sull’essenza dell’umanità, si domandava se fosse inarrestabile l’abbandono dell’individuo alla furia del pensiero utilitaristico e calcolante e ammoniva che, a seconda della risposta che si darà a questa domanda, si deciderà che ne sarà della terra e dell’esistenza dell’uomo sulla terra.
L’Enciclica Laudato Sì è ancora più netta: «La crescita degli ultimi due secoli non ha significato in tutti i suoi aspetti un vero progresso integrale e un miglioramento della qualità della vita. Alcuni di questi segni sono allo stesso tempo sintomi di un vero degrado sociale, di una silenziosa rottura dei legami di integrazione e di comunione sociale». La gestione dei vaccini ne è la più lampante testimonianza.
Guido Guidi