Siamo agli insulti che, dal “sacro suolo” – così lo definisce Salvini – del “pratone di Pontida” piovono in capo al buon Tajani. Non è che la piu’ recente baruffa che si manifesta nella destra. E la sinistra non è da meno.

Stiamo decisamente assistendo – nelle ultime settimane, in modo particolare – ad un netto incremento delle rime di frattura all’interno di ciascuno dei due poli. Il che, significativamente, capita, non più per “casus belli” occasionali, ma, in misura crescente, su tematiche del tutto rilevanti in ordine alle rispettive identità delle forze in campo. E, soprattutto, succede in modo speculare dall’una e dall’altra parte. Cioè, secondo una reciprocità che sembra segnalare come tutto ciò avvenga non per ragioni epidermiche, legate alla particolarità di questo o quel tema, ma per motivazioni più profonde.

Come se una forza tellurica creasse, negli strati profondi del nostro attuale sistema politico, un sommovimento che, per forza di cose, scuote e frantuma congiuntamente l’uno e l’altro dei due campi. Quasi ci fosse un magma, via via più incandescente, che esercita, sull’insieme delle forze in gioco nel sistema bipolare, una pressione che, qua e là, si sfoga attraverso i soffioni di questo o di quell’argomento controverso.

Insomma, al fondo c’è una ragione strutturale: la conformazione sghemba dei rapporti politici che nascono dal sistema elettorale maggioritario-bipolare. La quale non è assolutamente in grado di dar conto della forza geometrica che, per un che di necessario, cioè spontaneo ed incontrovertibile, è generata dal magma di cui sopra.
Espressione – quest’ ultimo – plurale, articolata, frammentata, frastagliata e controversa eppure, a suo modo coerente ed organica, delle differenti correnti di pensiero, della gamma contrastante di interessi, della molteplicità di abiti mentali, di storie e di culture, di localismi grandi e piccoli, che attraversano l’anima di un Paese tutt’altro che rassegnato ed assopito, come comunemente si crede.

Un Paese che si sottrae, come può, all’omologazione bifronte cui vorrebbero costringerlo i capisaldi polarizzati dell’attuale momento politico.

Perfino, l’astensionismo elettorale, in una certa misura, è manifestazione del rifiuto di esaurire il proprio personale concorso alla vita politica ed istituzionale costretti dentro la forbice dei due poli.

In buona sostanza – per quanto la contrapposizione sia forte, ed, anzi, forse, quanto piu’ è tale – la rozza dialettica tra destra e sinistra non è in grado di contenere e di esaurire dentro la propria dinamica, di dipingere e rappresentare lo spettro più ampio, più sottile e dettagliato delle opinioni, dei sentimenti, degli indirizzi di pensiero, e immediatamente, degli interessi che arricchiscono il contesto civile dell’Italia in questa fase della sua vicenda democratica. I quali interessi, per forza di cose, pur di trovar un canale attraverso cui esprimersi, generano una pressione che si rovescia perfino dentro l’uno e l’altro dei due schieramenti e tende a lacerarli.

Tutto ciò , in modo del davvero evidente, attesta quanto sia improprio ed inadatto lo schematismo bipolare maggioritario al nostro caso. Non è escluso che risponda ai canoni di un certa dottrina politologica. Senonché, la politica non si dissolve in quest’ultima ed, anzi, è ben più articolata di ogni caso di scuola che qualcuno intenda codificare in astratto.

Evidentemente, ogni assetto normativo è efficace solo se applicato ad un quadro storico, sociale e civile che lo riconosca come corrispondente alla propria cifra.

Nel nostro caso, al contrario, attraverso il sistema tutt’ora in atto, piuttosto che l’alternanza, intesa quale compimento della nostra democrazia difficile, abbiamo dato luogo ad una polarizzazione accecante che va superata.

Domenico Galbiati 

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