Diciannove standing ovations su un totale di cinquantacinque interruzioni – una per ogni frase letta dal Presidente, in media una ogni quarantacinque secondi – per accompagnare con un diluvio di francamente paradossali applausi un discorso in cui è stata pronunciata diciotto volte la parola “dignità”.
Queste, alcune delle caratteristiche che hanno segnato la battuta d’avvio, giovedì 3 Febbraio 2022, di una nuova fase della vita politica italiana, caratterizzata da due certezze apparse nella settimana di fuoco di fine gennaio.
Da un lato, c’è la permanenza al vertice dell’esecutivo, almeno per un altro anno, di un premier non più “distratto” dalla prospettiva della Presidenza della Repubblica. Dall’altro lato, c’è l’impegno di Sergio Mattarella; un impegno tendenzialmente lungo sette anni, e che deriva da un nuovo altissimo riconoscimento, che viene però vissuto quasi con riluttanza.
La dignità di Mattarella
Accettare di tornare al Quirinale deve, infatti, essere stato un sacrificio non da poco per un uomo come Sergio Mattarella, che tiene molto alla dignità personale, e forse ancor più alla dignità della carica ricoperta, ma che – per amor di patria – aveva, in occasione del giuramento del primo governo Conte, accettato (CLICCA QUI) persino di stringere la mano al “capopolo” Di Maio, che ne aveva appena due giorni prima chiesto l’impeachment.
Fu, quello, un vero sacrificio per un uomo dal forte senso del dovere, che dovrà ora affrontare una lunga sfida in cui, un po’ per ragioni anagrafiche, ma ancor più per la complessità della situazione interna e soprattutto internazionale, sarà esposto seriamente al rischio di danneggiare il giudizio estremamente positivo con cui gli storici narreranno in futuro di lui e del suo primo mandato presidenziale.
L’asperità del terreno in cui Sergio Mattarella ha infine constatato di non poter fare a meno di avventurarsi non è difficile da verificare. Basta – a titolo di esempio – prendere in considerazione anche una sola delle misure prese dal Governo nei giorni stessi del voto per la massima carica dello Stato, per notare come il “tecnico” Draghi e suoi ministri – in gran parte “tecnici” come lui – possano aggrovigliarsi in una serie di misure contraddittorie, talora inapplicabili, spesso chiaramente dannose per l’economia nazionale nel suo insieme, e in particolare per i settori più fragili e indifesi della società.
Appena una settimana prima del giuramento di Mattarella, infatti, la Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana ha pubblicato il decreto-legge detto Sostegni ter, concepito in piena contraddizione con la parola “sostegno”, e divenuto immediatamente operativo. Tale decreto contiene novità importanti e pesantemente negative, che interessano il settore dell’edilizia, cioè il settore sul quale il governo aveva chiaramente puntato per una mobilitazione dei privati a sostegno e rilancio dell’economia. Ebbene, proprio in materia di attività edilizia, il Sostegni Ter rinnega completamente uno dei principali impegni assunti dal Governo: quello relativo al diritto, per i proprietari immobiliari che effettuano lavori di ristrutturazione, di cedere agli intermediari finanziari il credito derivante dal bonus cui lo Stato stesso si era impegnato con una legge precedente.
Per i “furbi” paghino tutti
Le ragioni di questo voltafaccia, che viene vissuto dalla classe media come un vero e proprio tradimento, non sono difficili da capire. Esso nasce dal fatto che la Guardia di Finanza ha scoperto una maxi-frode partita da Rimini, e poi estesa a diverse Regioni, in conseguenza della quale un piccolo numero di soggetti “furbi” – 78 persone in tutto – che avrebbero fraudolentemente ottenuto il rimborso di falsi crediti per un totale di ben 440 milioni di euro, ed avevano chiaramente messo in luce l’inefficacia dell’apparato statale che avrebbe dovuto controllare la regolarità delle pratiche.
Per combattere l’eventualità di altre simili frodi, però, il Governo largamente tecnico di Mario Draghi non ha pensato a prioritarie misure volte a migliorare tale apparato, né ha pensato a correggerne le inefficienze e a colpire eventuali casi di complicità o corruzione. Ha preferito invece eliminare le tentazioni che – si sa – rendono l’uomo ladro. Ha preferito cioè ridurre drasticamente – tanto da in pratica abolirla con effetto praticamente immediato – la possibilità di cedere il credito. Insomma, ha preferito non onorare i propri impegni. E questo vale per tutti i bonus edilizi, quelli delle grandi imprese come quelli minori legati ad opere di ristrutturazione da parte di amministrazioni condominiali e di piccoli proprietari.
Di seguito dell’enormità di un tale comportamento da parte dei “tecnici” che siedono al governo, e che lo presiedono, le nuove norme – come messo in luce da uno studio dei servizi del Senato – verosimilmente porteranno in primo luogo a un blocco degli investimenti e dunque a un danno per le casse dello Stato per il venire a mancare di entrate già contabilizzate. Totalmente dimenticato sembra invece essere il fatto che, per evitare il ripetersi di tali comportamenti illegali, viene ad essere colpito uno larghissimo numero di persone oneste ed innocenti. O meglio, persone colpevoli solo di aver creduto negli impegni assunti dal governo.
Com’è stato immediatamente chiaro, la logica politica di questa reazione del potere esecutivo fattosi sua sponte legislatore a seguito della scoperta dell’attività truffaldina era – ed è rimasta – assai semplice e brutale. E’ stata la logica della “punizione collettiva”, una scelta politica che consiste nel far pagare anche agli innocenti il prezzo dell’agire criminale, una scelta di repressione in cui, al fine di mettere termine ai comportamenti contrari o di resistenza all’ordine stabilito da parte di alcuni specifici individui, si mette a ferro e fuoco tutta la comunità cui questi appartengono: un comportamento universalmente considerato inaccettabile persino da parte di eserciti stranieri che occupano un territorio dove la popolazione è ad essi ostile e compie atti di resistenza.
Conseguenze negative ad ogni livello
Ovviamente, le ristrutturazioni edilizie hanno subito un’immediata battuta d’arresto. Tutte le banche si sono ritirate dalle operazioni di cessione del credito, deludendo i loro clienti. Dal canto loro, Poste italiane e Cassa depositi e prestiti, i due enti che hanno acquisito oltre 4 miliardi di euro di crediti fiscali appaiono disorientati. Anche perché, in Borsa, Poste italiane ha perso in un sol giorno ben il 6,2%. Più che comprensibili appaiono perciò le loro proteste e quelle dei grandi proprietari immobiliari. E al tempo stesso lo sconforto muto e la rabbia impotente di quelli piccoli, molti dei quali avevano dato fiducia alle promesse del governo. e già avviato lavori di ristrutturazione.
Il danno provocato a milioni di risparmiatori e la confusione generata dall’improvvido divieto di cessione multipla dei crediti legati alle ristrutturazioni – una misura tanto più sgradevole in quanto retroattiva – è indubbio indice di inaffidabilità e di scorrettezza da parte dello Stato e di chi lo regge. Ma è, in sovrappiù, anche una scelta sbagliata dal punto di vista della strategia economica, perché colpisce un settore cardine nell’economia reale, ed un settore che ha avuto un ruolo centrale nel rimbalzo – effettivo o gonfiato che sia – constatato nell’anno passato rispetto a quello precedente.
Qualcuno ha calcolato che i posti di lavoro in ballo tra la possibilità o meno della cessione dei crediti dovuti ai cittadini per opere di ristrutturazione ascendano a 125.000 unità. Non sappiamo se il calcolo sia preciso, ma l’ordine di grandezza del danno è sicuramente attendibile. Così come è indubbio che la stretta inserita nel decreto Sostegni ter metta in crisi, con un colpo solo le imprese, le banche e le grandi aziende pubbliche e private che hanno sostenuto la modesta ripresa che il governo vanta per lo scorso anno. A cui si aggiunge il danno di aver creato un generale clima di incertezza del diritto, perché di fatto legittima una pericolosa retroattività rispetto a contratti già siglati.
Quel che in più è certo, ed è più doloroso, è il danno subito dai piccoli risparmiatori che perdono il contributo dello Stato per la ristrutturazione di casa. E questi sono legione in un paese come l’Italia, dove circa l’80 per cento delle famiglie vive in appartamenti di sua proprietà. Cosi come enorme è il numero delle persone, in primo luogo anziani, che hanno già investito i propri risparmi in ristrutturazioni, fidandosi della promessa dello Stato di fargliene ottenere un recupero pari al 40 per cento. Per questi, che non hanno ancora veramente preso coscienza del voltafaccia del loro governo, la mazzata è terribile ed irreparabile.
L’ipotesi di una toppa
E come potrebbe essere diversamente? Il valore incentivante del bonus stava tutto nella possibilità di convertire il credito fiscale in denaro attraverso la cessione multipla. Il recupero in cinque anni è invece una beffa, sia per l’inflazione che si è già messa in moto e che polverizzerà il valore del bonus, sia per la complessità tecnica per i lavoratori a reddito fisso e tassati alla fonte di portarlo a loro credito.
Qualcuno spera che le forti critiche dei settori coinvolti potrebbero indurre il governo a mettere una toppa sulle lacerazioni provocate dalle proprie decisioni. Si spera cioè che in sede di conversione in legge la maggioranza possa tornare sul divieto della cessione multipla e tentare una ripartenza.
Ma, nella realtà, anche una promessa di revisione in sede di conversione in Parlamento è gravida di conseguenze negative. A meno di un intervento ad effetto immediato e risolutivo, i tempi richiesti potrebbero essere cosi lunghi da porre il creditore che ha eseguito i lavori di ristrutturazione in serie difficoltà quando verrà la data per la prossima dichiarazione dei redditi. Questi dovrà infatti scegliere tra fidarsi di chi lo ha già ingannato una volta e aspettare nella speranza di poter fare la cessione del credito. oppure tentare di cominciare a portarsi in detrazione la prima tranche annuale. Ciascuna di queste scelte sarebbe irreversibile, e quindi assai pericolosa.
Inevitabile diventa a questo punto chiedersi se Draghi – anche se forse un po’ frastornato dal cambiamento delle proprie aspettative – percepisca appieno le conseguenze, anche politiche, che possono derivare dal Sostegni Ter. Come possa non rendersi conto del fatto che, agendo in maniera cosi fredda, sbrigativa e “tecnica” rispetto al danno subito da tanti soggetti economici – i quali troppo spesso capita che siano anche esseri umani – egli finisca per creare perplessità anche tra coloro che, con l’ottimismo della volontà, si sono sinora astenuti dal criticarlo, in attesa delle riforme di sostanza e di metodo ad attuare le quali lo ha chiamato, giusto un anno fa, il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella.
Giuseppe Sacco