Ai desideri di Ursula von der Leyen e a Giorgia Meloni sembrerebbe attagliarsi bene il detto “della moglie ubriaca e della botte piena”. E tutto a partire dal concetto di quello cui può pretendere una ”maggioranza”. Definita – in Europa – da centinaia di milioni di elettori, e – in Italia –  fatta diventare un moloch da idolatrare in maniera ossessiva. 

Si vedano innanzi tutto le pretese di Giorgia Meloni. Da parte sua e dei suoi alleati è tutta un’esaltazione di una maggioranza ferrea. Soprattutto in materia di gestione del potere. E questa maggioranza “solida, compatta e duratura”, è continuamente ostentata nonostante molto ci dica che si tratta, in realtà, di un “sacrificio” della verità sull’altare degli autentici rapporti esistenti tra i tre alleati di Governo su temi scottanti e da cui dipende il futuro del Paese.

In Europa sembra, però, che nonostante gli elettori abbiano delineato una scelta su chi affidare la guida delle istituzioni dell’Unione, Giorgia Meloni e i suoi Fratelli d’Italia, che alla maggioranza uscita dalle urne aperte in ben 27 paesi non hanno voluto aderire, pensano che le regole possono e debbono essere diverse.

Contando sul fatto che l’Italia è sicuramente uno dei paesi più importanti dell’Unione, oltre che uno dei suoi fondatori, la nostra premier insiste per ottenere per il Ministro Fitto una posizione più che di rilievo, e decisionale, all’interno della Commissione. Ma la popolare Ursula von der Leyen è stata rieletta sulla base di un accordo con socialdemocratici e liberali cui si sono aggiunti altri gruppi progressisti ed ambientalisti. Cioè quelli che in Italia, nonostante la confusione e le divisioni che li caratterizzano, sono innegabilmente all’opposizione.

Tra le due dame, soprattutto prima delle elezioni dello scorso giugno, sembrava intercorrere una “corrispondenza di amorosi sensi”. Da un lato, Ursula voleva lasciarsi un margine di manovra nel caso il voto non fosse andato come poi è andato. E Giorgia provava ad alzare la posta, ma senza lasciare molti margini perché continuava a dire che mai e poi mai sarebbe entrata a far parte di una maggioranza con i gruppi di sinistra. Insomma, è stato un “vorrei, ma non vorrei” che non poche diffidenze hanno fatto nascere in alcuni settori dei Popolari. Ma anche tra i Conservatori, al punto che alcuni di loro si sono presi una certa libertà d’azione, o nel trattarsi direttamente le loro questioni o passando armi e bagagli nel campo di Orban.

In ogni caso, è evidente come si sorvoli da parte della Meloni su un piccolo dettaglio: avere un Commissario, e addirittura una Vicepresidenza operativa, significa entrare in maggioranza dalla finestra dopo che non si è voluto farlo dalla porta principale. O lei pensa (sicuramente a differenza di Fitto, vista la sua esperienza), che il Commissario italiano perseguirà le sue politiche “romane” a Bruxelles come se niente fosse…

Il risultato è stato comunque che la von der Leyen ha mantenuto la maggioranza pre-esistente. Mentre alla Meloni resta solo il tentativo di giocarsi la carta dell’Italia. Ma quale Italia? Quella di tutti gli italiani, con le inevitabili conseguenze che questo dovrebbe comportare? E a questo proposito c’è da chiedersi se, invece di chiudersi nel suo fortino di Palazzo Chigi, non sarebbe stato meglio provare a coinvolgere ufficialmente anche le altre forze politiche per un’eventuale comune battaglia per la difesa di un ruolo importante per il Paese sullo scacchiere europeo.

Ma questo non è nelle corde del “decisionismo presidenzialista” di Giorgia Meloni. Cui è venuta a mancare anche un’iniziativa in tal senso da parte di quei gruppi che si dicono “centristi e moderati” che, però al dunque, pensano solo alle briciole da ricevere dalla destra in termini di spartizione di potere e di equilibrismi in sede di cariche regionali.

Tajani e Lupi hanno poco da recriminare in Italia e in Europa. O pensano che il continuo accostamento meloniano ad Orban non conti e non pesi? E questo nonostante il Presidente ungherese abbia “beffato” la Meloni creando, lui, in Europa il proprio raggruppamento con la Le Pen e Salvini, venendo così meno alla promessa di entrare tra i Conservatori europei dopo le elezioni.

Noi ovviamente, che amiamo davvero la nostra Nazione, ben più importante di qualunque soddisfacimento di pulsioni personali, di partito e di coalizione, ci auguriamo che Fitto, anche facendo storcere la bocca ai nazionalisti più accaniti di Fratelli d’Italia e della Lega, riesca dove per ora Giorgia Meloni ha fallito per coltivare l’illusione  che due abbracci e due pacche sulle spalle aiutino a dimenticare il populismo e la sua storia di antieuropeismo.

Staremo a vedere. E dovremo probabilmente tornare sull’argomento. Ma, In ogni caso, delle due dame, quella che per il momento sembra avere più saldamente il gioco tra le mani, non è quella che sta a Roma.

Giancarlo Infante

 

 

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