Per dare ulteriore linfa al dibattito promosso dai Popolari piemontesi sul ruolo dei cattolici democratici nella politica di oggi – riproposto con vivacità di posizioni dopo l’adunata romana convocata da Pierluigi Castagnetti tra coloro che si riconoscono ancora nel PD – merita soffermarsi sulla ricerca dei flussi elettorali effettuata dopo le elezioni politiche del 26 settembre scorso dall’Istituto di demoscopia Ixé. Una parte del sondaggio riguarda il voto per pratica religiosa, e rivela dati interessanti. Va premesso per noi Popolari, eredi di Luigi Sturzo, la laicità è un cardine del pensiero e dell’agire politico. Ma i comuni riferimenti a valori di fede e agli insegnamenti della Dottrina sociale fanno individuare nel laicato cattolico un elettorato di riferimento per chiunque voglia fare politica partendo da quelle radici.

Nella nuova ricerca ritroviamo in buona parte trend analoghi al sondaggio che l’Ipsos di Pagnoncelli fece dopo le europee del 2019: il voto medio degli italiani non si discosta nettamente dal voto dei cattolici praticanti (anche perché si definisce tale un terzo della popolazione), ma emergono alcuni scostamenti significativi.

Il primo riguarda la partecipazione al voto: l’astensionismo è stato del 3,5% superiore alla media (39,6 contro 36,1), un dato che replica quanto già accaduto in forma ancora più accentuata alle ultime europee. Se ammettiamo un più forte senso di comunità dei credenti, che si traduce il un più forte senso civico, non possiamo che ritenere questo dato un consapevole rifiuto di quanto offre oggi il palcoscenico della politica. Un astensionismo “di testa”, e non “di pancia”, di cui ciascuno può avvertire la crescente diffusione nel proprio cerchio di conoscenze.

Vediamo ora le scelte di chi è andato a votare. I partiti del centrodestra hanno tutti ottenuto risultati superiori al dato nazionale: Fratelli d’Italia 29,6% (+3,5), Lega 11,6% (+2,8), Forza Italia 10,7% (+2,6), Noi Moderati 1,8% (+0,9). La somma degli incrementi fa quasi il 10%, uno scostamento importante ed eloquente: l’elettorato cattolico tradizionalista e arroccato alla difesa della morale (i “sinceramente conservatori” di Sturzo) trova un’ampia scelta di proprio gradimento.

Come è stata accolta la novità del cosiddetto Terzo polo? Esattamente come tutti gli italiani, al 7,8%. Quindi, la proposta di “centrista” e “moderata” targata Calenda-Renzi, se non è stata bocciata, non è neppure stata promossa dal voto cattolico, forse anche per l’insistenza sui caratteri “repubblicano” e “liberale” e la (voluta?) dimenticanza della cultura “popolare”.

Passando al Movimento 5 Stelle, il populismo grillino viene penalizzato dai cattolici con il 12,5% (-2,8), e anche il populismo no-vax di Paragone con la sua Italexit perde lo 0,2% (da 1,9 a 1,7).

Ed ora il campo progressista. Impegno civico della strana coppia Tabacci-Di Maio ha preso lo 0,2 rispetto al già fallimentare 0,6%; Sinistra italiana e Verdi scendono dal 3,6 all’1,7% e – direi ovviamente – così fanno i consensi a +Europa dal 2,8 all’1,2%. Il PD perde quasi il 2% (da 19,1 a 17,2).

Se rapportiamo queste percentuali al totale degli aventi diritto al voto e arrotondiamo all’unità, nelle politiche 40 cattolici su 100 non sono andati a votare (e nel sondaggio non sono stati considerate bianche e nulle, che incrementano il non voto). Dei 60 recatisi alle urne, 32 hanno scelto il centrodestra (17 FdI, 7 la Lega, 7 FI, 1 NM); 5 hanno votato per Calenda-Renzi, 8 per i Cinquestelle, 1 per Paragone; a sinistra, 1 votante per SI e Verdi, meno di 1 ai radicali di +Europa, 10 al PD. Completano il quadro i 2 che hanno votato per altre liste non meglio definite.

Questa lettura dei numeri del voto – assolutamente corretta ma così diversa dalla cantilena dei media che ignorano completamente la realtà e il significato politico dell’astensionismo – ci può essere utile per comprendere quale dovrebbe essere la strada da seguire per coloro che volessero rilanciare, in un contesto pur così difficile, la proposta dei “liberi e forti”.

Escludiamo dai ragionamenti i clerico-conservatori, i cattolici di destra che sono sempre esistiti in Italia, in Europa e oltre Atlantico, in quanto la loro storia lontana e recente è al di fuori del popolarismo, il progetto che Sturzo creò per attivare politicamente i “sinceramente democratici”, attenti alle istanze dei più umili e portatori di proposte per trasformare la società liberandola da mali atavici e nuovi. La divisione in due del mondo cattolico va acquisita come un dato di fatto: la stagione della DC, che riuscì a mantenere compatto dietro lo scudo crociato quasi tutto il mondo cattolico, è stata il frutto irripetibile dell’epoca della Guerra fredda. Anche i pochi che vagheggiano il ritorno di un partito “dei” cattolici sono di fatto interlocutori inutili, in quanto fuori dal mondo.

Guardiamo invece ai cattolici democratici, attenti alla solidarietà e alla giustizia sociale. Il sondaggio è impietoso per quelli impegnati nel partito Democratico o che vi guardano come un riferimento obbligato. Siamo realisti: l’elettorato cattolico che si riconosce nel partito è limitato al 10%. La grande maggioranza dei fedeli democratici e solidali, se non vota i Cinquestelle o il duo Calenda-Renzi, si astiene dal voto. Vogliamo ammettere che il PD risulta poco credibile anche per i cattolici progressisti? Vogliamo prendere atto del suo fallimento come “casa comune dei riformisti”?

In un editoriale di tre anni fa ne elencavamo i motivi: “la ‘fusione a freddo’ che non ha saputo creare una comunità politica coesa, la ‘vocazione maggioritaria’ che ha preso il posto della cultura delle alleanze, il bipolarismo muscolare che ha eliminato il confronto e ridotto la politica a una guerra al “nemico”, il cinismo (“Enrico stai sereno”) e l’incoerenza eletti a virtù, la deriva leaderistica con toni populisti, il ‘partito liquido’ che ha perso contatto con i territori, il rapido adeguarsi a logiche di recesso democratico (riduzione del voto, premi di maggioranza abnormi, “nominati”…), l’abbraccio acritico alla cultura dominante di stampo individualista, l’abbandono dei corpi intermedi, l’enfasi sui benefici della globalizzazione, l’incapacità nell’opporsi alla perdita di dignità del lavoro, il vuoto ottimismo nelle ‘magnifiche sorti e progressive’ senza accorgersi dell’impoverimento dei ceti medi e popolari”. La confusa segreteria di Enrico Letta – un ex Popolare, ahinoi… – ha ancora peggiorato le cose.

A Rodolfo Buat, amico dai tempi del Movimento giovanile DC, che lamenta (CLICCA QUI) i toni polemici che ho usato verso “i nostri amici nel PD (…) nel momento in cui (tentano) di riproporre un’attenzione ai valori e alle posizioni del cattolicesimo democratico”, non posso che ribadire un dato di fatto: il progressivo deragliamento del progetto PD – di cui gli aspetti negativi sopra elencati sono di tutta evidenza lontani dal popolarismo – è avvenuto senza che i rappresentanti della nostra cultura politica all’interno del partito abbiamo fatto qualcosa di significativo per opporsi, per invertire la rotta, adattandosi di volta in volta, digerendo tutto in silenzio, anteponendo la salvaguardia dei destini personali alla coerenza politica. Ma così facendo la nostra cultura è regredita nell’irrilevanza e, purtroppo, ha ragione Trinchitella a ritenere che per Castagnetti & C. il tempo sia scaduto da mo. Anche le posizioni dei singoli, che hanno giocato e giocano ognuno una partita personale, sono sempre più deboli e a rischio. Nel dibattito post elezioni organizzato a Torino dai Popolari piemontesi, l’unico che ha gridato la propria indignazione per la scelta del PD di rimuovere Stefano Lepri dal collegio di Torino sud – dove vive, ha fatto e fa attività politica conquistandosi sul campo per due volte l’elezione in Parlamento – per far posto al “paracadutato” romano Magi, il radicale presidente di +Europa, è stato chi scrive, che da questo PD se ne andò a fine 2013. Sembra che tutti si siano assuefatti a una realtà ineluttabile…

Non c’è futuro per i Popolari nel PD. A meno di fare come Franceschini che si è proposto come eminenza grigia della Schlein, la perfetta candidata segretario del partito radicale di massa; o come chi si acconcia a fare il gregario nella Ditta di Bonaccini sperando di conservare uno strapuntino. Sono logiche interne di cortissimo respiro a caratterizzare il dibattito tra i Dem in vista delle primarie. Intanto i sondaggi rilevano il costante calo di consensi al partito, sceso ormai al 14%.

Carlo Baviera vede benissimo limiti e colpe del PD (CLICCA QUI) ma lo ritiene “l’unica barriera contro il tracimare delle destre”. Gli direi che le destre tracimano proprio grazie a questo PD, incapace di far politica se non presentandosi come alternativa in un sistema bipolare in cui sfrutta la sua rendita di posizione. “O noi o la Meloni” è stato l’unico ritornello elettorale di Letta, che aveva scientemente costruito nel tempo il dualismo con la leader di Fratelli d’Italia, accreditandola come la (facile) avversaria da battere: vuoi mica che gli italiani preferiscano una post-fascista?… Abbiamo visto chi ha fatto un sol boccone dell’altro.

L’equidistanza di INSIEME dai due poli (anche se ci sarebbe da approfondire – CLICCA QUI) sta proprio nel rifiuto del sistema: non si può dare il giro al nefasto bipolarismo italico – costruito con leggi elettorali anticostituzionali che hanno di fatto creato un’oligarchia al potere, circondata da devoti “nominati” o aspiranti tali – scegliendo alla fine il meno peggio. Il PD non merita il nostro voto, non avendo fatto nulla per cambiare un sistema che, in fondo, gli fa comodo così. E chiunque oggi voglia superare il bipolarismo tenuto in piedi dalla stampella del maggioritario, dopo averne visti i limiti e i frutti avvelenati, è un interlocutore politico.

Intanto i cattolici democratici dovrebbero ritrovarsi nella battaglia politica per restituire agli elettori la piena sovranità, liberi di scegliere partiti anche nuovi – oggi ostacolati (servono decine di migliaia di firme per presentare in meno di un mese le liste, mentre chi è nel fortino della politica si autoesenta con qualche codicillo ad partitum) – e le persone che meglio li rappresentano. Proporzionale e preferenze, abbattendo maggioritario e nominati. Questo il primo passo per ridurre l’astensionismo e per ridare autorevolezza al Parlamento e alla democrazia rappresentativa.

All’orizzonte si profila il presidenzialismo, bandiera della destra (Meloni in primis) ma su cui convergono anche altri capi partito come Renzi e Calenda; e su cui, ne siamo sicuri, non mancheranno sponde nel PD, speranzoso di rinnovare con questo strumento il bipolarismo, con la connessa rendita di posizione, che si sta sempre più esaurendo. Su questo terreno di scontro – di cui abbiamo ricominciato a parlare riprendendo l’intervento di Nino Labate (CLICCA QUI) – i Popolari, tutti e senza distinzioni, dovrebbero stare dall’altra parte, per una rigenerazione della democrazia parlamentare e delle Autonomie da contrapporre all’autoritarismo e al centralismo. Vista l’esperienza degli anni passati, ci aspettiamo tuttavia qualche defezione e molti silenzi.

Alessandro Risso 

Per leggere la ricerca completa di Ixé sui flussi elettorali, CLICCA QUI

Pubblicato su Rinascita Popolare dell’Associazione I Popolari del Piemonte (CLICCA QUI)

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