La formale apertura del “click day” per la raccolta delle domande di nulla osta per l’ingresso di 82.750 lavoratori extracomunitari per motivi di lavoro ha generato l’inoltro di 238 mila domande da parte delle imprese. Un numero spropositato e che si avvicina al mezzo milione di fabbisogno quantificato dal Sole 24 Ore, come somma delle richieste avanzate dalle associazioni imprenditoriali dell’agricoltura, dei servizi turistici e della ristorazione, delle costruzioni, dei trasporti, per certificare le principali.
L’andamento era prevedibile, e probabilmente superiore al fabbisogno, dato che la scarsa disponibilità delle quote ha indotto la propensione ad aumentare le domande da parte delle imprese per motivi di autotutela. Resta il fatto che tale ondata si somma all’assegnazione delle quote del precedente decreto non ancora riscontrate determinando un anomalo affollamento per l’attività, già precaria, degli sportelli unici per l’immigrazione. Il decreto flussi in questione dovrebbe essere l’ultimo gestito con le vecchie regole.
Sull’onda emotiva generata dalla tragedia di Cutro, il Governo ha approvato un decreto che ha inasprito le sanzioni per i trafficanti di persone e rafforzato l’impianto normativo che consente una programmazione più consistente dei nuovi flussi di ingresso legali per motivi di lavoro. Nelle intenzioni dell’Esecutivo l’aumento delle quote di ingresso per motivi di lavoro consente di rafforzare i canali legali di ingresso alternativi a quelli irregolari e di offrire una risposta alle numerose associazioni delle imprese che lamentano una crescente difficoltà a trovare manodopera disponibile per soddisfare le esigenze della produzione.
La parte del decreto finalizzata ad agevolare i nuovi ingressi di lavoratori extracomunitari rilancia il modello della programmazione triennale delle quote d’ingresso previsto dal testo unico n.286/ 98, meglio noto come Napolitano-Turco, fondato sulla valutazione dei fabbisogni del mercato del lavoro nel medio periodo e l’emanazione di uno, o più, decreti attuativi annuali che devono tener conto degli andamenti congiunturali del ciclo economico. La stima dei nuovi fabbisogni sarà effettuata dal Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali previa consultazione delle parti sociali e delle associazioni per l’accoglienza, e che prevedono il rilascio dei pareri delle Commissioni parlamentari e della Conferenza Unificata Stato-Regioni-Enti locali.
Una novità importante è la possibilità di prevedere nuovi ingressi al di fuori delle quote ordinarie (analogamente a quanto avviene per i professionisti, medici infermieri, personalità dello spettacolo e dello sport, lavoratori stranieri dipendenti dalle medesime imprese) per i potenziali lavoratori che hanno frequentato corsi di formazione professionale e di educazione civica nei Paesi d’origine, organizzati sulla base dei fabbisogni stimati dal Ministero, con il concorso delle Agenzie del lavoro nazionali e regionali e delle Associazioni di categoria. Una novità che potrebbe avere sviluppi interessanti nell’ambito delle intese che si intendono sottoscrivere con i Paesi d’origine per regolare i flussi migratori.
Fatta la descrizione resta da comprendere se le novità introdotte possono rispondere adeguatamente ai fabbisogni del mercato del lavoro. In particolare, per l’efficacia della gestione dei nuove quote rispetto alle esigenze del sistema produttivo.
Nonostante gli elementi positivi descritti in precedenza, l’impianto generale continua a essere orientato a soddisfare fabbisogni di manodopera con bassa qualificazione destinati in grande prevalenza a rinvigorire l’offerta di lavoro in comparti di attività caratterizzati da una consistente quota di lavoro sommerso. La parte più rilevante, circa i due terzi degli stranieri occupati regolarmente residenti, lavora in questi particolari mercati del lavoro destinati ad accogliere i nuovi flussi di ingresso.
Un motivo per bloccare i flussi? L’assenza di nuovi ingressi comporterebbe seri problemi per la produzione. Ma il problema non può essere ignorato e deve trovare risposte adeguate. Per fare un esempio, le associazioni di impresa le rappresentanze sindacali dei lavoratori dovrebbero cooperare con i servizi pubblici dell’impiego e le Agenzie del lavoro private, nella formazione delle liste di disponibilità nei territori per favorire una gestione trasparente dell’incontro tra la domanda e offerta di lavoro alternativa ai circuiti illegali, per quantificare i nuovi fabbisogni e certificare la sussistenza del rapporto di lavoro.
L’attuale modello utilizzato per l’assegnazione delle nuove quote d’ingresso, i bandi on line meglio noti come “clik day”, oltre a essere incompatibili con le caratteristiche e i tempi dell’incontro tra la domanda e offerta di lavoro, si prestano a essere manipolati per far rilasciare i nulla osta d’ingresso e per rilasciare permessi di soggiorno che non coincidono con effettive esigenze lavorative. Per favorire l’efficacia della selezione e i percorsi di qualificazione dei lavoratori, si potrebbero attribuire le quote di ingresso per motivi di formazione con la possibilità di riconvertire in permessi di soggiorno per motivi di lavoro di fronte all’instaurazione del rapporto di lavoro.
Questo cambio di approccio, rivolto ad aumentare la qualità dei flussi d’ingresso, si rende necessario per attrezzare il nostro Paese nell’affrontare le nuove dinamiche della domanda e offerta di lavoro in ambito locale e internazionale.
L’impatto delle nuove tecnologie sulle organizzazioni del lavoro e sui profili professionali sta aumentando la richiesta di lavoratori qualificati, e formati, anche per le mansioni esecutive. Lo riconoscono anche le stesse associazioni delle imprese che per molti anni hanno assecondato in via di fatto la propensione di una buona parte degli associati a sfruttare in modo indecoroso i lavoratori.
Questa tendenza riporta la riflessione su una novità delle politiche migratorie che viene trascurata: la capacità dei sistemi produttivi di attrarre risorse qualificate per compensare i fabbisogni interni che risultano, nella gran parte dei Paesi sviluppati, al di sotto delle competenze disponibili nel mercato del lavoro.
L’Italia e la Grecia sono gli unici Paesi europei ad avere un saldo negativo tra l’esodo delle persone formate, o in formazione, rispetto a quelle entrate con queste caratteristiche. Le nostre politiche migratorie, e la stessa teoria di aumentare le quote legali per evitare i flussi irregolari, perché derivanti da cause e motivazioni diverse da quelle derivanti dai fabbisogni professionali dei Paesi di accoglienza, continuano a mettere al centro dei flussi provenienti dai Paesi poveri l’esigenza di utilizzare queste persone nelle mansioni che non corrispondono alle aspettative delle giovani generazioni autoctone.
Sono in atto dei cambiamenti delle caratteristiche e delle motivazioni dei flussi migratori che richiedono analisi e risposte differenziate. Del tutto diverse dall’assemblaggio confuso che caratterizza il dibattito sulle politiche per l’immigrazione in Italia.
Natale Forlani