La nonviolenza come “guida del mondo”, un mondo che impara a scoprirsi fatto di fratelli. E’ l’auspicio con cui il Papa ha accompagnato la nascita, avvenuta nel pomeriggio di oggi 29 settembre, dell’Istituto cattolico per la nonviolenza, fondato dall’Iniziativa cattolica per la nonviolenza di Pax Christi International, movimento per la promozione della pace formato da 120 organizzazioni provenienti da ogni parte del globo. L’istituto, con sede a Roma, si dedicherà alla promozione della nonviolenza come insegnamento basilare della Chiesa, lanciandosi nell’ambiziosa missione di rendere la ricerca, e le risorse da essa prodotte, più accessibili non solo ai leader della Chiesa, ma anche alle comunità e alle istituzioni globali.
Monsignor Giovanni Ricchiuti, presidente nazionale di Pax Christi, ha riferito il saluto di Francesco che si è detto “vivamente compiaciuto per la lodevole iniziativa”, auspicando “una rinnovata adesione ai valori della pace e della fraternità” per i partecipanti all’evento. IlPapa ha esortato anche “ad operare insieme per garantire la difesa dei diritti di ogni creatura” oltre a “divenire artefici di una società fondata sull’amore reciproco”. “Che siano la carità e la nonviolenza a guidare – ha scritto – il mondo e il modo con cui ci trattiamo gli uni gli altri”.
La nonviolenza come fondamento della Chiesa
L’evento si è tenuto presso l’Istituto Maria Santissima Bambina di Via Paolo VI, alla presenza del cardinale Charles Maung Bo, arcivescovo di Yangon, la più grande città del Myanmar, e del cardinale Robert Walter McElroy, vescovo di San Diego, negli Stati Uniti, insieme a suor Teresia Wachira, dell’Istituto della Beata Vergine Maria e alla rinomata autrice e ricercatrice Maria Stephan, che ha moderato l’evento e la conversazione.
In un’intervista a margine dell’evento ai media vaticani il cardinale McElroy ha sottolineato la difficoltà oggettiva nel condividere un ideale di nonviolenza in un contesto, quello attuale, martoriato da conflitti e violenze. “Tuttavia, mi sembra che sia il solo messaggio che abbiamo alla luce del Vangelo e dei tempi che stiamo vivendo”. La strada da seguire, afferma il porporato, è quella “indicata dalla Fratelli tutti“, che ci interroga su come mostrare a ognuno di noi “l’amore che siamo chiamati ad avere verso i fratelli e le sorelle nel mondo in queste situazioni difficilissime, che comprendono i conflitti armati, e quelli interni”. La risposta a tali interrogativi secondo il porporato “non può essere quella di continuare la guerra, e di ricambiare attacco su attacco o di generare nuovi attacchi”. Al contrario, essa è chiamata ad essere “fondata sulla disponibilità a compiere passi, e talvolta correre rischi, per raggiungere la pace, per preservarla o per rafforzarla”. In questo, per il cardinale McElroy, si concretizza la “chiamata del Vangelo” che dipinge una definizione di nonviolenza capace di esulare dalla semplice passività alle crudeltà del mondo, sfociando in un “metodo efficace per affrontare il male che esiste e che spesso genera conflitti”. Non bisogna farsi illusioni, essa “non risolve tutti i problemi” ma si pone, tuttavia, come “la posizione fondamentale che la Chiesa dovrebbe avere, radicata nelle nostre prime tradizioni e certamente articolata da Papa Francesco in un modo molto efficace e coerente”. La nonviolenza rappresenta il “fondamento” della Chiesa e “la sua testimonianza e i suoi sforzi devono tendere ad assistere particolari situazioni di conflitto nel mondo”. Un compito “difficile”, “non sempre efficace”, ma pur sempre “la via cristiana nella sua essenza”.
La pace costruita sulla nonviolenza è incrollabile
A prendere la parola è stato poi il cardinale Bo, che ha affiancato la figura di Gesù, “Principe della pace” a quelle di altri grandi “apostoli della pace: Mahatma Gandhi e Martin Luther King”. Essi “ci esortano a marciare con coraggio verso una terra promessa in cui ogni fratello e sorella viva in dignità, pace e prosperità”. Il porporato ha ricordato le sofferenze delle popolazioni israeliane, palestinesi, ucraine e quelle della sua terra d’origine, il Myanmar. “Siamo chiamati a fermarci e a riflettere: possiamo continuare su questa strada distruttiva? O dobbiamo, come famiglia umana, compiere un profondo cambiamento, passando da un paradigma di guerra e violenza a uno di pace e nonviolenza?”. Riprendendo il concetto espresso dal cardinale McElroy, il porporato ha spiegato come “il rifiuto della violenza da parte di Gesù non rappresenta uno stato di debolezza; egli ha proclamato che l’amore è più forte dell’odio, che la pace dura più a lungo della guerra e che la giustizia, se costruita sulle fondamenta della nonviolenza, è incrollabile. Come ci ha detto nelle Beatitudini, ‘beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio’”. In tale contesto, la creazione delI’Istituto “ci aiuterà a recuperare la nonviolenza di Gesù, attingendo alla saggezza della riflessione teologica, alle strategie pratiche per affrontare la violenza e, soprattutto, alle esperienze vissute delle comunità emarginate che incarnano questa chiamata radicale alla pace”. “È da queste comunità”, afferma l’arcivescovo di Yangon, “che impareremo il vero significato della nonviolenza incentrata sul Vangelo”
Il sogno che può diventare realtà
A seguire è intervenuta suor Teresia Wachira, che ha ricordato come la base della nonviolenza sia “l’accoglienza di tutti, anche del nemico”. Un insegnamento appreso fin dagli anni della sua infanzia in Kenya, ripercorsi attraverso il ricordo degli insegnamenti della madre, in contrapposizione con le nozioni che le venivano impartite in università. “Stavamo discutendo la violenza di genere, e si diceva che fosse giusto, per un uomo, picchiare la propria moglie. Questo perché la nostra cultura dice che quando un uomo picchia la propria moglie, la ama. E mi chiedevo: come può essere?” Troppo spesso, “nella cultura africana, quella per cui posso parlare, la violenza strutturale può diventare una norma”. La dottoressa Stephan ha poi interrogato nuovamente il cardinale McElroy, che ha sottolineato come quello della nonviolenza rimanga “un sogno”, eppure qualcosa di “molto meglio dell’incubo che stiamo vivendo in questi giorni, che sta distruggendo le persone e le loro connessioni”. Chiunque parteciperà alle attività dell’Istituto “sognerà” ed aiuterà il prossimo a riconoscere come la nonviolenza “possa funzionare”. “Questo è il grande ostacolo”, secondo il porporato: “che tutto rimanga solo un sogno. Noi dobbiamo invece dire che esso può diventare realtà”.
Le attività dell’istituto contempleranno l’invito rivolto a teologi, ricercatori e praticanti chiave della nonviolenza come associati dell’istituto, che lavoreranno in aree quali nonviolenza evangelica, pratiche nonviolente e potere strategico, e esperienze contestuali della nonviolenza. Tra i membri del Consiglio di consulenza vi sono già María Clara Bingemer, professoressa del dipartimento di Teologia della Pontificia università cattolica di Rio de Janeiro in Brasile, l’arcivescovo di Suva, la capitale delle isole Figi, Peter Chong, ed Erica Chenoweth, che, come decano e professoressa presso l’Università di Harvard, è considerata un’autorità leader sulla nonviolenza strategica. Già dal mese di ottobre, in seguito alle considerazioni sul tema della nonviolenza riportate dalla XVI Assemblea generale ordinaria del sinodo dei vescovi, l’Istituto proporrà seminari che affronteranno proprio tali questioni in relazione sia alla difesa personale che alla gestione di conflitti su larga scala.
Edoardo Giribaldi
Pubblicato su www.vaticannews.va